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Licenziamento del coniuge da cui ci si vuole separare: quali conseguenze?
Spesso accade che all’interno del rapporto coniugale si creino importanti relazioni economiche tra i coniugi.
Oltre al possibile patrimonio in comune, non di rado accade che il marito assume la moglie nella propria azienda (o viceversa).
Chiaramente, nel caso di separazione, anche l’aspetto lavorativo dovrà trovare adeguata regolamentazione. Vediamo come muoverci e come evitare spiacevoli conseguenze.
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Licenziamento ed assegno di mantenimento
Un prima conseguenza di un licenziamento affrettato (ossia prima di concordare le condizioni della separazione) potrebbe essere proprio quello dell’assegno di mantenimento.
In effetti, il coniuge più debole si troverebbe senza lavoro e nella condizione di poter chiedere il relativo mantenimento al coniuge “benestante”.
D’altra parte, precisiamo che la condizione di disoccupazione non è sufficiente a garantire l’erogazione del mantenimento. In linea di massima è sempre necessario verificare:
- lo stato di disoccupazione involontaria;
- il peggioramento delle condizioni di vita del coniuge più debole;
- l’incapacità del predetto di ricollocarsi nel mercato del lavoro.
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L’assegno di mantenimento secondo la giurisprudenza
Con sentenza del 11 luglio 2018 n. 18894, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione tracciano le linee guida in materia di mantenimento.
Sulla scia di tale pronuncia la Cassazione con provvedimento n. 18287/18 esamina proprio un caso di separazione di due coniugi che lavorano entrambi all’interno della medesima azienda della moglie.
La Corte di Appello aveva negato l’assegno di mantenimento al marito licenziato. Si legge:
[…] egli (il marito) aveva attitudini e capacità lavorative che presumibilmente gli consentivano di ricollocarsi nel mercato del lavoro, a seguito del licenziamento da parte della società amministrata dalla moglie nella quale prima lavorava, anche tenuto conto delle rilevanti somme (Euro 500000) da lui percepite successivamente alla separazione, in relazione al pregresso lavoro e alla vendita di un immobile cointestato con la moglie.
In Cassazione la sentenza viene confermata ritenendo non sindacabili le motivazioni logiche formulate dal Giudice di secondo grado.