Presupposto della diffamazione: La comunicazione con più persone

Sommario

Diffamazione: l’offesa pubblica e le sue implicazioni legali

La diffamazione, regolata dall’art. 595 del codice penale italiano, si verifica quando un’offesa viene rivolta a una persona assente, ma percepita da una pluralità di individui.

Questo reato si distingue dall’ingiuria, un tempo disciplinata dall’art. 594 c.p. (oggi depenalizzato), che prevede invece la presenza della vittima.

La diffamazione può verificarsi in molti contesti, dai social media alle discussioni pubbliche, e può portare a conseguenze legali severe. Comprendere il quadro normativo e giurisprudenziale che disciplina questo reato è cruciale per evitare di incorrere in responsabilità penali.

Chi sono le “più persone” nella diffamazione?

Uno degli aspetti centrali della diffamazione è il coinvolgimento di “più persone”.

Perché si configuri questo reato, non basta che una singola persona percepisca l’offesa.

Questo concetto è importante, perché distingue la diffamazione dall’ingiuria.

Nell’ingiuria, l’offesa è diretta alla persona presente, e la sua gravità può essere aumentata se avviene in presenza di altre persone, come indicato dal quarto comma dell’art. 594 c.p.

Tuttavia, se l’offesa viene fatta alla presenza della vittima, anche se davanti a più testimoni, non si parla di diffamazione, ma di ingiuria.

Per chiarire meglio questo concetto, la giurisprudenza ha stabilito che la “pluralità di persone” deve comprendere individui esterni rispetto al reato, ossia persone che non partecipano attivamente alla condotta diffamatoria.

Ad esempio, se due persone insultano un terzo, non si tratta di diffamazione perché gli stessi autori dell’offesa non possono essere considerati parte della “pluralità di persone”.

Riflessioni su contesti digitali

Con l’avvento dei social media e delle piattaforme online, questo concetto ha assunto nuove sfumature.

Pubblicare un commento offensivo su una piattaforma come Facebook o Twitter, dove l’offesa è visibile a molte persone, è considerata diffamazione, anche se l’intento era di rivolgersi a un singolo destinatario.

In questo contesto, ogni utente che legge l’offesa può essere considerato parte della “pluralità di persone” necessaria per configurare il reato di diffamazione.

La giurisprudenza ha trattato vari casi di cyber-diffamazione, confermando che l’utilizzo di mezzi di comunicazione digitale non esonera dalla responsabilità penale.

Pluralità di correi e loro esclusione

Un altro aspetto complesso della diffamazione riguarda la pluralità di correi, ossia quando più persone partecipano attivamente all’offesa.

In questo caso, si pone la domanda: i correi possono essere considerati parte della pluralità di persone necessaria per configurare la diffamazione?

La giurisprudenza, in linea generale, esclude i correi dal computo.

Questo significa che se un gruppo di persone offende una terza persona in sua assenza, il reato si configura solo se l’offesa è percepita da soggetti estranei al gruppo dei correi.

Esempio pratico: Se quattro persone in una chat privata si scambiano messaggi offensivi su un conoscente, senza che altri leggano i messaggi, non si può parlare di diffamazione.

Tuttavia, se uno di loro diffonde quei messaggi all’esterno del gruppo, informando altri soggetti, si configurerebbe il reato di diffamazione.

La differenza sta quindi nella diffusione dell’offesa: se resta confinata tra i correi, non si può parlare di diffamazione, ma se l’offesa viene comunicata a soggetti terzi, si configura il reato.

Simultaneità dell’offesa: l’importanza della diffusione

Un elemento chiave nella diffamazione è la diffusione dell’offesa, che non richiede simultaneità.

Questo significa che un’offesa può essere diffusa a più persone in tempi diversi, senza che questo comprometta la configurazione del reato.

Non è necessario che l’offesa venga percepita contemporaneamente da più persone, purché ci sia un filo logico e temporale che leghi le varie comunicazioni.

Ad esempio, se una persona parla male di un collega prima con un amico e, successivamente, ripete la stessa offesa con un altro interlocutore, il reato di diffamazione può configurarsi anche se le due conversazioni non avvengono nello stesso momento.

È essenziale che l’offesa venga comunque diffusa e percepita da più persone, anche a distanza di tempo.

L’ascolto indiretto e la responsabilità del diffamatore

Un altro scenario tipico è quello in cui una persona, alzando la voce intenzionalmente, permette che un’offesa venga udita da altre persone presenti. In questo caso, si configura il reato di diffamazione, poiché l’intenzione del soggetto è chiara: far percepire l’offesa a terzi.

Tuttavia, se il terzo ascolta l’offesa per caso o senza che il diffamatore l’abbia voluto (ad esempio origliando una conversazione privata), non si può parlare di diffamazione.

Questa distinzione è importante, perché sottolinea che per configurare la diffamazione è necessaria una volontà consapevole da parte del soggetto di far conoscere l’offesa a terzi.

Se il diffamatore compie atti volontari per diffondere l’offesa (come alzare la voce o scrivere una lettera che può essere letta da altre persone), si assume la responsabilità penale.

Il passaparola: una diffamazione indiretta

Il passaparola è un esempio classico di diffamazione indiretta.

Se una persona riferisce a qualcun altro un commento offensivo su un terzo, e il secondo individuo lo diffonde ulteriormente, la diffamazione è comunque configurabile.

Questo avviene soprattutto quando il soggetto attivo (colui che ha originato l’offesa) ha l’intenzione che l’informazione venga diffusa a più persone.

Se, invece, il terzo che riceve l’informazione decide di diffonderla senza esplicita volontà del soggetto attivo, quest’ultimo non può essere considerato responsabile della diffusione ulteriore.

Questo è particolarmente rilevante nei casi di diffamazione a mezzo stampa o tramite comunicazioni scritte, dove il passaparola può assumere una connotazione più complessa.

Diffamazione scritta: un reato sempre attuale

La diffamazione scritta può assumere varie forme, dalle lettere private ai commenti sui social media.

Un esempio interessante riguarda una lettera inviata dal Presidente di un Tribunale al Presidente della Corte d’Appello, contenente valutazioni offensive su alcuni magistrati. Anche se la lettera era indirizzata personalmente, la successiva diffusione ad altre autorità ha portato alla configurazione del reato di diffamazione (Cass. 31728/2004).

La diffusione della comunicazione è ciò che rende la diffamazione scritta particolarmente insidiosa.

Anche se una lettera è destinata a una sola persona, se il contenuto offensivo viene in qualche modo diffuso ad altri, il reato si configura.

È essenziale, quindi, prestare attenzione non solo al contenuto delle comunicazioni, ma anche alle modalità con cui queste vengono trasmesse e potenzialmente diffuse.

Conclusioni

La diffamazione è un reato che coinvolge la diffusione di un’offesa a più persone in assenza della vittima.

La giurisprudenza ha chiarito numerosi aspetti di questo reato, dalle comunicazioni digitali al passaparola, evidenziando come la diffusione, e non la simultaneità, sia il fattore chiave per configurare il reato.

Chi si trova coinvolto in casi di diffamazione, sia come vittima che come potenziale autore, dovrebbe sempre rivolgersi a un avvocato per una consulenza personalizzata.

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