Licenziamento ATC nullo

Sommario

Vittoria per il dipendente ATC riassunto

Il Tribunale di Ferrare, con sentenza del 21 agosto 2012, dichiara la nullità del licenziamento intimato per “giusta causa.

Trattasi di un dipendente, il quale aveva ritenuto di instaurare una controversia per il riconoscimento della superiore qualifica di “quadro” e per il conseguente pagamento delle differenze retributive.

Proprio il giorno fissato per il tentativo di conciliazione innanzi alla D.P.L., la datrice di lavoro predisponeva una lettera di addebito disciplinare, con la quale veniva contestato ad esso ricorrente che “a seguito di controlli casuali” disposti dada Presidenza ed effettuati da una ditta specializzata era emerso che il computer a lui assegnato e da lui abitualmente utilizzato presentava software non originale, non adeguato all’attività istituzionale e non autorizzato tra cui anche un programma per scaricare files, musica e filmati.

Nel computer venivano altresì rinvenute immagini a contenuto erotico provenienti da Internet nonché files personali ed attinenti ad un’altra ditta che nulla avevano a che vedere con l’attività istituzionale dell’associazione.

In conseguenza di ciò veniva avviato un procedimento di licenziamento per giusta causa.

Il licenziamento adottato non ha natura ritorsiva

Il Giudice ritiene che lo Z. aveva presentato le prime rivendicazioni nel 2007 (se ne fa riferimento nel verbale di mancata conciliazione; doc. 3 di parte ricorrente); tale circostanza induce a ritenere che il recesso non sia stato in stretta connessione temporale rispetto alle richieste del lavoratore.

Ma quand’anche si volesse datare le rivendicazioni all’anno 2008 non può non rilevarsi che il Consiglio direttivo aveva chiaramente manifestato una volontà conciliativa volta ad un accordo stragiudiziale che mal si concilia con l’asserito intento ritorsivo (v. l’estratto del verbale della seduta del 3.6.2008 ed i successivi tentativi di elaborazione di bozza di accordo nonché la Delib. 29 luglio 2008 di concessione allo Z. della somma mensile di Euro 155,00 per 12 mensilità quale indennità di funzione quadro a partire dal 1.1.2003 al lordo delle ritenute ed utile ai fini del TFR, pur senza riconoscere il superiore inquadramento. – docc. dal 17 al 24 parte convenuta).

Analogamente inconsistente la asserita natura discriminatoria del licenziamento per motivi attinenti a comportamenti attinenti alla sfera sessuale.

Al ricorrente non è stato contestato il fatto che egli possedesse immagini erotiche, bensì il fatta che tali immagini erano state da lui scaricate tramite il computer dell’ufficio collegandosi ad Internet (sempre in ufficio) nell’ambito di un addebito che più in generale riguardava l’uso del computer (strumento di lavoro) a fini personali.

Non risulta pertanto alcun collegamento diretto o indiretto tra il possesso di immagini erotiche in quanto tali ed il licenziamento, né lo Z. ha provato – come era suo onere – la circostanza che questo fosse connesso con il suo orientamento o sulle sue convinzioni sessuali.

Il controllo sul computer del ricorrente costituisce illegittimo trattamento dei dati personali

Devono invece condividersi le asserzioni della parte ricorrente in merito alla illegittimità del licenziamento in quanto conseguente e connesso ad una illegittima acquisizione di dati personali.

Il controllo sui computer dell’associazione è stato attuato ad iniziativa individuale del Presidente del Centro Servizi, dott. G.M., il quale ritenendo “opportuno mettere in sicurezza i sistemi informatici in uso presso gli uffici sede del Centro Servizi”, con lettera in data 23.9.2008 diretta alla B.S.B. Sistemi S.r.l., conferiva incarico alla stessa “di provvedere alia revisione dei computers controllando per ogni singola macchina: 1. l’originalità dei programmi installati; 2. la presenza di password; 3. l’esistenza di programmi non attinenti l’attività del Centro Servizi”, autorizzando la ditta a fare copia del contenuto dei computers per provvedere al controllo commissionato e riferire con relazione sui punti sopra evidenziati.

Il tutto con il dichiarato scopo “di non incorrere, in caso di controllo da parte delle compenti Autorità, a sanzioni civili e penali che sarebbero conseguenti al mancato rispetto delle norme in campo informatico” (doc. 28 parte convenuta).

Da quanto emerge dal doc. 29 parte convenuta la ditta era stata anche incaricata di annullare e reimpostare la password del computer.

La B.S.B. ha riferito per iscritto (v. doc. 30) di avere constatato che nel computer si trovavano software non originali, l’installazione di un programma di filesharing per scaricare musica e film, la presenza di film ed immagini a contenuto erotico scaricati da internet, nonché documenti di videoscrittura e fogli elettronici contenenti dati ed informazioni non inferenti al Centro Servizi.

Ritiene questo giudicante che l’ampia verifica effettuata sul computer costituisca “trattamento dei dati personali” così come previsto e disciplinato da! D.Lgs. n. 196 del 2003 (c.d. Codice della Privacy).

L’art. 4 del decreto definisce il trattamento come “qualunque operazione o complesso di operazioni, effettuati anche senza l’ausilio di strumenti elettronici, concernenti la raccolta, la registrazione, l’organizzazione, la conservazione, la consultazione, l’elaborazione, la modificazione, la selezione, l’estrazione, il raffronto, l’utilizzo, l’interconnessione, il blocco, la comunicazione, la diffusione, la cancellazione e la distruzione di dati, anche se non registrati in una banca di dati”.

Definisce altresì il dato personale come “qualunque informazione relativa a persona fisica, […] identificata o identificabile, anche indirettamente, mediante riferimento a qualsiasi altra informazione, ivi compreso un numero di identificazione personale”.

Da quanto emerge dalla lettera di incarico sopra ricordata si è trattato di un controllo occasionale, ma esso non conseguiva a specifiche sospette attività illecite del dipendente, trattandosi semplicemente di una verifica volta a accertare non meglio precisate norme nel settore informatico per evitare sanzioni civili e penali genericamente indicate.

Né risultava minacciata in modo imminente la sicurezza del sistema informatico del Centro Servizi, non essendo nemmeno stata allegata e provata la circostanza.

Risulta invece provato che l’utilizzo dei computers era avvenuto per anni nel sostanziale disinteresse del datore di lavoro il quale aveva lasciato proprio allo Z. la gestione degli aspetti tecnici legati all’uso dei p.c. dell’ufficio (v. dichiarazioni rese in sede di interrogatorio formale del legale rappresentante della convenuta G.M., nonché le dichiarazioni testimoniali di D.G. in particolare ma anche quelle di Z.G. e G.T.).

Il controllo del computer è stato dunque improvviso, imprevisto e del tutto estemporaneo.

Non può dunque essere invocato, come invece fa la parte convenuta, il diritto di difesa, allo scopo di evidenziare che il diritto alla privacy non è assoluto, non scorgendosi a quale necessità difensiva doveva far fronte l’associazione.

Né il controllo può essere considerato lecito alla luce del fatto che ex post sia stata accertata la non liceità o la non correttezza della condotta del dipendente. Chè altrimenti molte intrusioni immotivate nei dati personali del lavoratore dipendente potrebbero in tal modo risultare legittimate all’esito dei controlli.

Analogamente, non può essere utilizzato l’argomento secondo cui il controllo era solo occasionale e non diretto a monitorare a distanza l’attività del dipendente.

Del pari non significativa la circostanza che esso sia avvenuto su tutti e tre i computer in uso agli unici tre dipendenti (Z., G. e V.).

Trattasi infatti di circostanze insufficienti a giustificare il trattamento dei dati personali per le ragioni che seguono.

Secondo l’art. 11 del Codice della privacy, il trattamento dei dati personali deve infatti essere attuato “in modo lecito e secondo correttezza” e la raccolta in copia e registrazione dei medesimi sarebbe dovuta avvenire “per scopi determinati, espliciti e legittimi”.

In caso di violazione di tali principi i dati trattati “non possono essere utilizzati”.

La linee del Garante della Privacy sui dati personali dei dipendenti

Tali principi hanno trovato ulteriore specificazione nelle linee guida del Garante per la protezione di dati personali, adottate con deliberazione n. 13 del 1.3.2007 pubblicate in Gazzetta Ufficiale n. 58 del 10.3.2007, in materia di utilizzo di posta elettronica e della rete Internet nel posto di lavoro.

Il Garante muove dalla premessa che compete al datore di lavoro, titolare del trattamento dei dati personali, assicurare il corretto impiego di tali mezzi ed adottare idonee misure di sicurezza anche per prevenire utilizzi indebiti che possono essere fonte di responsabilità; così come gli compete per tali ragioni il controllo dell’utilizzo di Internet (mediante analisi, profilazione ed integrale ricostruzione mediante elaborazione di log file della navigazione web) e della posta elettronica sino alla conoscenza del contenuto della corrispondenza.

Il Garante precisa che le informazioni scaturenti da tali controlli costituiscono trattamento dei dati personali anche sensibili riguardanti lavoratori o terzi.

Egli ricorda i cogenti principi contenuti nel Codice della privacy che devono essere rispettati nel trattamento dei dati:

“a) il principio di necessità, secondo cui i sistemi informativi e i programmi informatici devono essere configurati riducendo al minimo l’utilizzazione di dati personali e di dati identificativi in relazione alle finalità perseguite (art. 3 del Codice; par. 5.2 );

b) il principio di correttezza, secondo cui le caratteristiche essenziali dei trattamenti devono essere rese note ai lavoratori (art. 11, comma 1, lett. a), del Codice).

Le tecnologie dell’informazione (in modo più marcato rispetto ad apparecchiature tradizionali) permettono di svolgere trattamenti ulteriori rispetto a quelli connessi ordinariamente all’attività lavorativa.

Ciò, all’insaputa o senza la piena consapevolezza dei lavoratori, considerate anche le potenziali applicazioni di regola non adeguatamente conosciute dagli interessati (v. par. 3 );

c) i trattamenti devono essere effettuati per finalità determinate, esplicite e legittime [art. 11, comma 1, lett. b), del Codice: par. 4 e 5), osservando il principio di pertinenza e non eccedenza (par. 6).

Il datore di lavoro deve trattare i dati “nella misura meno invasiva possibile”; le attività di monitoraggio devono essere svolte solo da soggetti preposti (par. 8) ed essere “mirate sull’area di rischio, tenendo conto della normativa sulla protezione dei dati e, se pertinente, del principio di segretezza della corrispondenza” (Parere n. 812001, cit., punti 5 e 12).”

Di qui consegue la considerazione che, poiché il trattamento deve ispirarsi al canone di trasparenza (v. art. 4 Statuto Lavoratori e par. 3 D.Lgs. n. 626 del 1994), il datore di lavoro ha l’onere di indicare caso per caso, chiaramente ed in modo particolareggiato, quali siano le modalità di utilizzo degli strumenti messi a disposizione ritenute corrette e se, in che misura e con quali modalità vengano effettuati i controlli.

Per la predetta indicazione il datore ha a disposizione vari mezzi a seconda del genere e della complessità delle attività svolte, e informando il personale con modalità diverse anche a seconda delle dimensioni della struttura, tenendo conto, ad esempio, di piccole realtà dove vi è una continua condivisione interpersonale di risorse informative.

Il Garante osserva che dovrebbe essere tra l’altro specificato se ed in quale misura il datore di lavoro si riserva di effettuare controlli, anche saltuari od occasionali, indicando le ragioni legittime – specifiche e non generiche – per cui verrebbero effettuati e le relative modalità (precisando se, in caso di abusi singoli o reiterati, vengono inoltrati preventivi avvisi collettivi o individuali ed effettuati controlli nominativi o su singoli dispositivi e postazioni) e quali conseguenze, anche di tipo disciplinare, il datore di lavoro si riserva di trarre qualora constati che la posta elettronica e la rete Internet sono utilizzate indebitamente.

Con particolare riferimento alla navigazione nella rete Internet, secondo il Garante “Il datore di lavoro, per ridurre il rischio di usi impropri della “navigazione” in internet (consistenti in attività non correlate alla prestazione lavorativa quali la visione di siti non pertinenti l’upload o il download di file, l’uso di servizi di rete con finalità ludiche o estranee all’attività), deve adottare opportune misure che possono, così, prevenire controlli successivi sul lavoratore.

Tali controlli, leciti o meno a seconda dei casi, possono determinare il trattamento di informazioni personali, anche non pertinenti o idonei a rivelare convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, opinioni politiche, lo stato di salute o la vita sessuale (art. 8 I???. n. 300/1970; artt. 26 e 113 del Codice; Provv. 2 febbraio 2006, cit. ).

In particolare, il datore di lavoro può adottare una o più delle seguenti misure opportune, tenendo conto delle peculiarità proprie di ciascuna organizzazione produttiva e dei diversi profili professionali: individuazione di categorie di siti considerati correlati o meno con la prestazione lavorativa; configurazione di sistemi o utilizzo di filtri che prevengano determinate operazioni -reputate inconferenti con l’attività lavorativa- quali l’upload o l’accesso a determinati siti (inseriti in una sorta di black list) e/o il download di file o software aventi particolari caratteristiche (dimensionali o di tipologia di dato); trattamento di dati in forma anonima o tale da precludere l’immediata identificazione di utenti mediante loro opportune aggregazioni (ad es., con riguardo ai file di log riferiti al traffico web, su base collettiva o per gruppi sufficientemente ampi di lavoratori); eventuale conservazione nel tempo dei dati strettamente limitata ai perseguimento di finalità organizzative, produttive e di sicurezza”.

Tali oneri di organizzazione ed informativi, di tipo ovviamente preventivo, configurano una c.d. policy interna che deve essere adeguatamente pubblicizzata e portata a conoscenza del dipendente.

Tale onere di specificazione ed informazione è stato prescritto dal Garante a carico dei datori di lavoro privati e pubblici, ai sensi dell’art. 154 lett. c) del Codice della privacy.

La rilevanza dei principi sopra menzionati e degli oneri di regolamentazione ed informazione del lavoratore e dunque delle prescrizioni del Garante trova peraltro piena conferma nel fatto che l’Italia, in quanto facente parte dell’Unione Europea, ha aderito ad un nucleo di valori fondamentali, previsti dall’art. 2 del Trattato di Maastricht, secondo cui “l’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze.

Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini”.

A ciò si aggiunga che la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, entrata in vigore il 1.12.2009, all’art. 7 prevede che ogni individuo ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle sue comunicazioni; mentre il successivo l’art. 8 prevede che ogni individuo ha diritto alla protezione dei dati di carattere personale che lo riguardano ed al trattamento di tali dati secondo il principio di lealtà, per finalità determinate ed in base al consenso della persona interessata o a un altro fondamento legittimo previsto dalla legge.

Ma nel caso di specie il datore non si è affatto conformato a tali principi e linee guida: nel rapporto di lavoro mancava infatti qualsiasi regola volta a disciplinare l’uso dei p.c. da parte del dipendente.

In particolare proprio lo Z., il più esperto nell’utilizzo dei computer e dei programmi, di fatto godeva in relazione a tali strumenti di lavoro di un’ampia libertà di movimento; egli dunque non poteva conformarsi a regole di condotta mai adottate né tanomeno aspettarsi il controllo disposto ed effettuato senza alcuna forma di preventiva informazione da cui è poi scaturito il suo licenziamento.

Pertanto, alla luce di quanto previsto dall’art. 11 D.Lgs. n. 196 del 2003 i dati acquisiti tramite il trattamento dei dati personali non possono in alcun modo essere utilizzati ed il licenziamento che si fonda su di essi è illegittimo, e ciò a prescindere da ogni ulteriore indagine circa la effettiva riferibilità dei downloads di film ed immagini erotiche al ricorrente.

Posta quindi la illegittimità del licenziamento per come sopra intimato, deve trovare applicazione il principio risarcitorio tracciato dall’art. 8 della L. n. 604 del 1966 riconoscendo al ricorrente, in rapporto alla sua anzianità e posizione lavorativa (il rapporto intercorreva con il Centro Servizi quantomeno dal 1994), e valutate tutte le circostanze del caso concreto sopra menzionate una somma corrispondente a 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, sulla cui entità non vi è specifica contestazione tra le parti.

E’ opportuno precisare che nel caso in esame non può trovare applicazione l’art. 3 L. n. 108 del 1990 il quale prevede sempre l’applicazione della disciplina di cui all’art. 18 Statuto Lavoratori in caso di licenziamento discriminatorio o ritorsivo; si è infatti già detto che tali presupposti non ricorrono e non sono peraltro sovrapponibili alla diversa fattispecie della violazione delle norme sul trattamento dei dati personali.

Sulla somma dovuta decorreranno la rivalutazione e gli interessi secondo quanto previsto dall’art. 429 c.p.c. con decorrenza dal recesso al saldo effettivo.

Devono ritenersi assorbiti gli ulteriori motivi di doglianza relativi al licenziamento sotto il profilo della sua eccessiva sproporzione rispetto agli addebiti contestati.

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