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Ho diritto alla restituzione di un prestito fatto all’altro coniuge?
Il caso è molto frequente. All’interno della vita di coppia è frequente che un coniuge presti dei soldi all’altro.
Nell’ambito familiare, in linea di massima, tale prestito assume delle caratteristiche particolari in quanto non comporta il diritto alla restituzione.
E’ opportuno fare però le opportuno distinzioni ed approfondimenti.
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Il prestito tra coniugi: ratio e natura
La sentenza della Cassazione 12251/2009 sottolinea come il prestito all’intero della vita matrimoniale non deve essere considerato un ordinario “finanziamento”.
La sua funzione è quella di far fronte al dovere di solidarietà reciproca e mutuo soccorso che nel rapporto di coppia risulta essere elemento necessario ed imprescindibile.
La conseguenza diretta comporta che non se ne potrà richiedere la restituzione da parte del coniuge erogante.
In altri termini tali prestito sono da considerarsi erogati con spirito di liberalità e solidarietà e pertanto affini più ad una donazione che ad un prestito.
Quando posso chiedere la restituzione?
Se il prestito erogato in costanza di matrimonio, a prescindere se in separazione o comunione dei beni, non comporta il diritto alla restituzione; d’altra parte, è comunque possibile superare tale presunzione.
Ad esempio, i coniugi possono prevedere tramite specifica scrittura privata la natura di “prestito” dell’erogazione ricevuta con relativo obbligo di restituzione.
Tale vincolo può essere peraltro anche collegata proprio al possibile evento futuro della separazione tra i coniugi.
Come affermato dalla Cassazione con la sentenza 19304/2013, in tali casi, ci troviamo di fronte ad un contratto di mutuo (gratuito) tra i coniugi, i quali si vincolano tramite la suddetta scrittura privata.
L’eccezione dell’art. 192, terzo comma c.c.
Fermo restando quanto sopra espresso, il codice civile all’articolo 192 afferma:
Art. 192 – Rimborsi e restituzioni
Ciascuno dei coniugi è tenuto a rimborsare alla comunione le somme prelevate dal patrimonio comune per fini diversi dall’adempimento delle obbligazioni previste dall’articolo 186.
È tenuto altresì a rimborsare il valore dei beni di cui all’articolo 189, a meno che, trattandosi di atto di straordinaria amministrazione da lui compiuto, dimostri che l’atto stesso sia stato vantaggioso per la comunione o abbia soddisfatto una necessità della famiglia.
Ciascuno dei coniugi può richiedere la restituzione delle somme prelevate dal patrimonio personale ed impiegate in spese ed investimenti del patrimonio comune.
I rimborsi e le restituzioni si effettuano al momento dello scioglimento della comunione; tuttavia il giudice può autorizzarli in un momento anteriore se l’interesse della famiglia lo esige o lo consente.
Il coniuge che risulta creditore può chiedere di prelevare beni comuni sino a concorrenza del proprio credito. In caso di dissenso si applica il quarto comma. I prelievi si effettuano sul denaro, quindi sui mobili e infine sugli immobili.
Pertanto non rientrano nelle spese sostenute per spirito di solidarietà ed assistenza, le somme prelevate dal patrimonio personale di uno dei coniugi ed impiegate per spese ed investimenti del patrimonio comune.
In tal caso, il coniuge ha diritto al rimborso e restituzione di quanto erogato.
Chiaro che risulta determinate valutare cosa possa rientrare nel concetto di “spese o investimenti”.
Secondo al giurisprudenza, tali elargizioni devono consistere in qualcosa di non ricomprensibile nell’ordinario manage familiare e le vicende economiche della coppia.
Secondo la Cassazione (n. 20878/2011 e n. 19454/2012), in tal ambito, devono inquadrarsi le somme erogate per la “manutenzione ordinaria e straordinaria dei beni comuni“, ovvero per il “miglioramento e dell’accrescimento dei beni comuni“.
In merito agli immobili la Cassazione con sentenza del 19454/2012 ha avuto modo di ribadire che:
“Allo scioglimento della comunione legale tra i coniugi, ai sensi dell’art. 192, terzo comma, c.c., devono essere restituiti solo gli importi impiegati in spese ed investimenti per il patrimonio comune già costituito, ma non il denaro personale impiegato per l’acquisto di immobile che concorre a formare la comunione, trovando, in tale ipotesi, applicazione l’art. 194, comma primo, c.c., secondo il quale all’atto dello scioglimento l’attivo ed il passivo devono essere ripartiti in quote uguali indipendentemente dalla misura della partecipazione di ciascuno dei coniugi.”
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