Caso Legale di Malpractice Sanitaria a Bologna
Il caso oggetto della sentenza riguarda un complesso procedimento di malpractice sanitaria verificatosi nel territorio bolognese, che coinvolge l’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara e l’Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna. La vicenda giuridica offre interessanti spunti di riflessione sul tema della responsabilità contrattuale medica e sulla gestione dei rischi clinici nelle strutture sanitarie emiliane.
Contesto Giuridico dell’Evento
L’evento si è verificato in data 13 aprile 2007, quando il paziente è stato sottoposto a un intervento di sostituzione di artroprotesi all’anca sinistra. Successivamente, è insorta una grave infezione nosocomiale causata da Staphylococcus Aureus, che ha determinato conseguenze invalidanti per il paziente.
La sentenza chiarisce alcuni aspetti fondamentali in tema di responsabilità medica:
- Natura Giuridica della Responsabilità: Contrattuale, derivante dal rapporto tra paziente e struttura ospedaliera
- Standard di Diligenza: Valutazione secondo l’art. 1176, comma 2 del Codice Civile
- Onere Probatorio: Ripartizione dell’onere della prova tra paziente e struttura sanitaria
Analisi Tecnico-Legale della Consulenza Tecnica d’Ufficio
Il consulente tecnico, Prof. Dario Betti dell’Università di Padova, ha evidenziato due principali profili di responsabilità:
Responsabilità dell’Azienda Ospedaliera di Ferrara
- Mancata decisione di reintervento dopo accertamento dell’infezione protesica
- Periodo di invalidità temporanea stimato nell’8%
- Durata: 7 mesi dalla dimissione (22.11.2007)
Responsabilità dell’Istituto Ortopedico Rizzoli
- Intervento di rimozione protesica incompleto
- Menomazione invalidante stimata al 50%
Quantificazione del Danno
Danno Non Patrimoniale
La liquidazione del danno ha considerato:
- Danno biologico permanente: € 13.688,00
- Aumento personalizzato: € 3.422,00
- Danno da invalidità temporanea: € 14.700,00
Criteri di Liquidazione
- Utilizzo delle Tabelle del Tribunale di Milano 2013
- Considerazione dell’età del paziente (56 anni)
- Valutazione delle ripercussioni sulla vita sociale
FAQ Legali
Chi Può Richiedere un Risarcimento per Malpractice Medica?
Il paziente che ha subito un danno durante un trattamento sanitario può richiedere il risarcimento dimostrando la negligenza della struttura.
Quali Sono i Tempi per Avviare un’Azione Legale?
Il termine di prescrizione per le azioni risarcitorie è generalmente di 5 anni dal verificarsi dell’evento dannoso.
Come Si Dimostra la Responsabilità Medica?
È necessario provare l’inadempimento contrattuale, il nesso causale e il danno subito attraverso consulenze tecniche e documentazione medica.
Tribunale Bologna sez. III, 09/05/2014, n.1432
FATTO E DIRITTO
1. La presente sentenza è redatta senza l’esposizione dello svolgimento del processo e con motivazione consistente nella succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi, così come previsto dagli artt. 132 comma 2 n. 4 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c. nel testo introdotto dagli art. 45 e art. 53 della L. n. 69 del 18 giugno 2009 trattandosi di disposizioni applicabili anche ai procedimenti pendenti in primo grado alla data di entrata in vigore della L. 4 luglio 2009 ai sensi dell’art. 58 comma 11.
2. Per quanto di residuo ed attuale interesse, attesa la dichiarata estinzione del processo limitatamente all’altro convenuto Istituto Ortopedico Rizzoli (in prosieguo anche IOR) per rinuncia e conseguente accettazione, la vicenda riguarda un caso di malpractice sanitaria occorso durante le fasi prodromiche e successive all’intervento del 13.04.2007 di sostituzione di artroprotesi all’anca sinistra e legato all’insorgenza di una infezione nosocomiale (da staphilococcus aureus) attribuita a responsabilità dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara – Arcispedale Sant’Anna (in prosieguo anche Azienda), così citata al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti.
Costituitasi, la convenuta eccepiva l’incompetenza per territorio in favore del Tribunale di Fe. e chiedeva il rigetto di ogni domanda attorea, in quanto non provata nei fatti e infondata in diritto, ritenendo non assolto l’onere probatorio.
L’istruttoria si è svolta con la produzione di numerosa documentazione relativa ai ricoveri ospedalieri in occasione del primo intervento, nonché a quelli successivi legati alla travagliata vicenda sanitaria, nonché con lo svolgimento di una consulenza tecnica d’ufficio ed all’esito, respinta ogni richiesta di approfondimento istruttorio, in particolare rigettati ogni supplemento/rinnovazione della consulenza, è stata posta in decisione con assegnazione dei termini ex art. 190 c.p.c. nell’estensione massima.
La domanda di parte attrice è fondata e merita perciò accoglimento per quanto di ragione.
Invero l’esclusiva responsabilità nell’occorso del personale sanitario medico e/o non medico, non può che ritenersi comprovata dalle concordi risultanze degli atti istruttori raccolti.
2.1 Perché insistita dall’Azienda convenuta, occorre nuovamente soffermarsi sulla questione dell’incompetenza per territorio.
Come correttamente eccepito dalla difesa attorea ogni questione deve però ritenersi preclusa nella presente sede in ragione del contenuto dell’ordinanza del 27.01.2011, con la quale l’eccezione de qua, con decisione di evidente portata definitoria e perciò di contenuto equivalente ad una sentenza non definitiva, è stata respinta.
3. In via preliminare, è opportuno ricordare e riaffermare, perché questione che ha occupato le parti, ininfluente all’uopo ogni riferimento nel giudizio civile del richiamo all’art. 2043 c.c. fatto dal cd. Decreto Balduzzi (DL 13.09.2012 n. 158, convertito in Legge 08.11.2012 n. 189), che la responsabilità in tema di colpa medica, va qualificata come contrattuale, in quanto derivante dal contratto (o dal contatto sociale) intervenuto tra la paziente e la struttura ospedaliera convenuta, avente ad oggetto le prestazioni medico sanitarie.
Si deve tenere conto, perciò, che il medico o in genere il personale non medico, che opera all’interno di quella struttura sanitaria, poiché svolge un’attività a contenuto professionale, è tenuto nell’adempimento delle proprie obbligazioni, non già alla diligenza generica del buon padre di famiglia, bensì a quella più accurata e specifica del debitore qualificato, come prescrive l’art. 1176, 2° comma, c.c.; ciò comporta il rispetto di tutte le regole e gli accorgimenti che, nel loro insieme, costituiscono la conoscenza della professione medica (Cass. 4852/1999, Cass. 5945/2000, Cass. 6386/2001, Cass. 3492/2002).
Aderente a una siffatta impostazione, deve rilevarsi il recente autorevole intervento sul punto della Suprema Corte i cui condivisibili principi (<<….la materia della responsabilità civile segue le sue regole consolidate, e non solo per la responsabilità aquiliana del medico, ma anche per la c.d. responsabilità contrattuale del medico e della struttura sanitaria, da contatto sociale. PUNTO fermo, ai fini della filomachia, gli arresti delle sentenze delle Sezioni unite nel novembre 2008, e tra queste la n. 26973, ed in particolare nel punto 4.3 del c.d. preambolo sistematico, che attiene ai c.d. contratti di protezione conclusi nel settore sanitario, ed agli incipit giurisprudenziali ivi richiamati, e seguiti da decisioni di consolidamento.>>, cfr. Cass. civ. Sez. III, Sent., 19-02-2013, n. 4030) è sufficiente qui richiamare come precedente conforme e condiviso.
Sotto il profilo del grado di colpa, di cui il medico o il personale sanitario in genere, deve rispondere, il disposto dell’art. 2236 c.c. va interpretato nel senso che la limitazione di responsabilità alle sole ipotesi di dolo e colpa grave non ricorre con riferimento ai danni causati per negligenza o imperizia, ma soltanto per i casi che richiedono di risolvere problemi tecnici di speciale difficoltà (perché trascendono la preparazione media o non sono stati ancora studiati a sufficienza, ovvero dibattuti con riguardo ai metodi da adottare; cfr. Cass., Sez. III, sent. n. 5945 del 10.5.2000; Cass., Sez. III, sent. n. 4852 del 19.5.1999; Cass., Sez. III, sent. n. 11440 del 18.11.1997).
Per quanto attiene, poi, alla ripartizione dell’onere probatorio tra paziente e medico, la natura contrattuale della predetta responsabilità implica che, in forza della presunzione di colpa di cui all’art. 1218 c.c., il paziente ha solo l’onere di allegare il peggioramento delle proprie condizioni di salute, imputandone la causa all’intervento del medico. E’ invece onere di quest’ultimo dimostrare che l’esito negativo non è ascrivibile alla propria negligenza od imperizia, e che la sua prestazione implicava la risoluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà. Ne consegue che, qualora il medico non assolva in maniera idonea questo suo onere probatorio, l’inesatto adempimento della sua prestazione – ovvero anche solo l’incertezza degli esiti probatori in ordine all’esatto adempimento – va posta a suo carico e ciò comporta l’accoglimento della domanda risarcitoria, fondata sulla responsabilità contrattuale.
Del resto quanto al riparto dell’onere probatorio in tema di colpa medica, la costante giurisprudenza di legittimità ritiene che << l’attore deve provare l’esistenza del contratto (o il contatto sociale) ed allegare l’insorgenza (o l’aggravamento) della patologia e l’inadempimento qualificato del debitore, astrattamente idoneo a provocare (quale causa o concausa efficiente) il danno lamentato>>, mentre ha solo l’onere di allegare (ma non di provare) la colpa del medico. Invece, rimane << a carico del medico convenuto dimostrare che tale inadempimento non vi è stato, ovvero che, pur esistendo, esso non è stato causa del danno>> (ex plurimis, Cass. 4792/2013, rv. 625765).
Alla luce dei predetti principi e della ritenuta natura contrattuale della responsabilità medica, si osserva che nel caso in esame la parte convenuta non ha assolto all’onere probatorio dianzi descritto e, quindi, non può ritenersi l’ipotesi dell’esatto adempimento né quella dell’inadempimento non imputabile.
3.1 La C.T.U. del prof. dott. Dario Betti dell’Università di Padova – la quale appare logicamente coerente e adeguatamente motivata in ordine all’individuazione della patologia ed all’eziogenesi di essa in relazione ai trattamenti terapeutici praticati ed alla quale si rimanda per gli aspetti di dettaglio – ha consentito di accertare una evidente responsabilità, secondo quanto si andrà ad esporre.
Il Consulente ha affermato (cfr. pag. 17-18) che <<…le conseguenze lamentate dal sig. XX sono da porsi in relazione causale con i trattamenti subiti, ma in misura differenziale: quelli di natura flogistico-infettiva sono da ricondurre con certezza alla fase operatoria eseguita presso la AOU Sant’Anna di Ferrara, mentre quelli di natura disfunzionale a carico dell’anca di sinistra sono da riferire al successivo incompleto intervento presso lo IOR di Bologna.>>
Il prof. Betti ha, quindi, precisato che <<…i profili di responsabilità seguono la suddetta ripartizione, ma mentre per l’A.O.U. S. Anna è evidenziabile un momento causale che, al di là della generica attribuzione della localizzazione infettiva all’arco temporale del ricovero ed all’intrinseca invasività dell’intervento chirurgico, consiste nella mancata decisione di reintervenire con la rimozione dell’impianto protesico una volta assodata, con scintigrafia, la “infezione protesica attiva”, a carico della IOR il momento causale di danno si identifica nell’incompleta rimozione della protesi di anca.>> (cfr. pag. 18).
Dalla differenziazione dei profili di responsabilità il CTU fa ovviamente discendere conseguenze anche sotto il profilo della riferibilità degli esiti invalidanti alle due strutture convenute, ponendo <<…a carico dell’A.O.U. Arcispedale S. Anna un periodo di invalidità temporanea – per la persistenza del tragitto fistoloso femorale, stimabile nell’ordine dell’8% (otto)- di sette mesi: dalla data di dimissione (22.11.2007) dopo l’intervento di revisione (27.10.2007) dei soli “tessuti molli immediatamente adiacenti all’osso femorale” eseguito alla A.O.U. Sant’Anna di Ferrara, fino alla data dell’intervento presso lo IOR (23 giugno 2008).>> (cfr. pag. 18).
Il CTU ha inoltre precisato che <<…a partire dalla stessa data si è concretizzata una menomazione invalidante – non attribuibile alla A.O.U. Sant’Anna di Ferrara – sovrapponibile alla perdita funzionale dell’arto inferiore, oltre alla persistenza del tragitto fistoloso, stimabile attorno al 50%.>>, chiarendo all’uopo come <<…tale condizione invalidante sia espressione di un programma chirurgico non portato a compimento e che nella ragionevolissima ipotesi di un suo completamento, potrebbe condurre ad una ripresa funzionale ottimale dell’arto, residuando solo la modesta invalidità relativa all’irregolarità dell’estremo rostrale di una cicatrice chirurgica che comunque sarebbe esitata come espressione inevitabile del reintervento.>> (cfr. pag. 18-19).
Per doverosa completezza, stante le insistite richieste attoree, si annota che il CTU ha anche preso posizione rispetto alle osservazioni del CTP attoreo dott. Centrone, precisando tra l’altro in via meramente ipotetica e come pura ipotesi di lavoro, che, <<…se si dovesse stimare la condizione del sig. XX come se non fosse avvenuta la successiva fase dell’Istituto Ortopedico Rizzoli, avremmo una limitazione funzionale modesta dell’arto inferiore di sinistra, legata prevalentemente alla flogosi dei tessuti periprotesici ed una fistola secernente: in altri termini un’invalidità ben lontana dalla stima del 50% che deriva esclusivamente dalla perdita della funzione articolare dell’anca, a sua volta direttamente riconducibile al mancato completamento dell’intervento di sostituzione completa del sistema protesico.>> (cfr. pag. 29-30). Con la diretta ed immediata conseguenza che la parte di danno alla persona direttamente riconducibile all’errore tecnico degli operatori di Ferrara, ove l’intervento di sostituzione protesica fosse stato compiutamente eseguito a Bologna, sarebbe da riferire esclusivamente al <<…solo disvalore estetico della cicatrice cheloide derivata dalla deiscenza della ferita chirurgica e relativa cronica reazione tissutale, per una invalidità permanente non superiore all’8% (otto).>> ed un periodo di inabilità temporanea di sette mesi, nella misura parziale del 50%.
3.2 Quanto al valore da accordare alla perizia è evidente che la meticolosità dell’accertamento, l’ampia garanzia di contraddittorio assicurata ed esercitata da parte convenuta, l’assenza di elementi oggettivi contrastanti e soprattutto di elementi di incongruità, specie se si tiene nel debito e doveroso conto quanto assunto in replica alle osservazioni dei CCTTPP, rendono del tutto inutile disporre un nuovo accertamento nel presente processo civile.
Una siffatta valutazione, oltre che presidio dei principi di economia dei mezzi giuridici e della ragionevole durata del processo, come voluta dall’art. 111, 2^ co., Cost., è inoltre supportata da elementi obiettivi legati al fatto che anche l’eziopatogenesi ignota ricadrebbe comunque, sotto il profilo processuale probatorio, sulla parte convenuta e ciò in ragione di quanto già visto.
Consegue a ciò che appare inutilmente dispendioso in termini di tempo e di risorse economiche accedere a nuova consulenza sulla ricostruzione del sinistro.
4. Procedendosi perciò alla liquidazione del danno, quello patrimoniale, attese le risultanze di causa, va quantificato in:
A) € 0,00 relativamente alle spese anche latu sensu mediche, non essendone allegate e documentate; converge verso una siffatta decisione, non solo, la circostanza che, nonostante gli anni trascorsi dall’evento, non è stata quantificata o documentata alcuna spesa, ma anche, è evidente il soccorso sia del Servizio Sanitario nazionale sia delle Assicurazioni Sociali;
5. Il danno non patrimoniale, alla luce dei criteri in uso presso questo Tribunale, che fanno riferimento alle tabelle milanesi 2013, rielaborate a seguito della sentenza delle Sezioni Unite dell’11.11.2008, tenendo in considerazione anche il ristoro dovuto per la sofferenza morale soggettiva, va quantificato, vista l’età del danneggiato al momento del sinistro (56 anni), come segue: danno biologico permanente (IP) nella misura massima stimata dal c.t.u del 8% pari a € 13.688,00= a cui vanno sommati, tenuto conto delle particolari ripercussioni dei postumi traumatici sulla vita sociale e di relazione futuri, sostanzialmente notevolmente complicati in ragione della patologia infettiva in perenne azione e dell’assoluto inestetismo in persona comunque in età sufficientemente giovane in rapporto alle odierne aspettative di vita, € 3.422,00 per un aumento personalizzato nella misura massima prevista del 25%.
Passando alla liquidazione del danno non patrimoniale conseguente alla ritenuta invalidità temporanea (totale di sette mesi al 50%), anche al riguardo la Terza Sezione Civile ha adottato la liquidazione congiunta del danno biologico e morale, come quantificato nelle citate tabelle 2013 del Tribunale di Milano in una forbice giornaliera da un minimo di € 96,00 ad un massimo di € 144,00; nel caso in esame, poiché la sofferenza temporanea patita causalmente ricollegabile all’intervento risulta rilevante, atteso il calvario sanitario e la lunghezza del periodo, appare equa una quantificazione giornaliera corrispondente all’importo di € 140,00/2; il complessivo ammontare di tale danno risulta così pari ad € 14.700,00.
5.1 Il danno non patrimoniale come complessivamente considerato, dovrà poi maggiorarsi, secondo l’insegnamento di Cass. 17 febbraio 1995, n. 1712, di rivalutazione monetaria e interessi sulla somma capitale annualmente rivalutata, da calcolarsi al tasso del 2,5 % annuo, questo costituendo la media dei tassi vigenti nel periodo; che peraltro, l’impossibilità tecnica di devalutare il relativo ammontare quanto alle somme già liquidate all’attualità impone di recuperare l’effetto anomalo di una doppia rivalutazione calcolando gli interessi nella misura anzidetta sulle somme integralmente rivalutate non già dalla data del fatto, ma da un’epoca intermedia, che, avuto riguardo al tempo decorso, si reputa equo stabilire nel 1 giugno 2009.
A seguito della liquidazione qui operata il debito di valore si converte in debito di valuta e su di esso dovranno computarsi gli interessi moratori ex lege.
6. Le spese seguono la soccombenza.
Le spese di CTU, negli importi già liquidati, andranno definitivamente poste definitivamente a carico della parte convenuta, con conseguente obbligo di rimborso a favore di quella attorea di quanto dalla stessa già anticipato a tale titolo.
PQM
P.Q.M.
Definitivamente pronunciando, ogni altra domanda, istanza ed eccezione disattese, così provvede:accoglie la domanda proposta da XX nei confronti di AZIENDA OSPEDALIERO-UNIVERSITARIA DI FERRARA – ARCISPEDALE SANT’ANNA e, per l’effetto, dichiarata la responsabilità contrattuale della convenuta, la condanna al pagamento, in favore di parte attorea, per le causali indicate in parte motiva, delle seguenti somme o poste:
a) € 13.688,00 + € 3.422,00 + € 14.700,00 a titolo di danno non patrimoniale, oltre interessi al tasso annuo al 2,5 % dalla data del 1° giugno 2009 alla data della sentenza;
b) euro 00,00 per danno patrimoniale;
c) degli interessi al tasso annuo di legge sulle somme così dovute dalla data della sentenza a quella del saldo effettivo;
d) delle spese di lite, che liquida in € 329,00 per spese ed € 4.500,00= per compensi, oltre IVA, CPA, se dovuti e nelle aliquote legali;
e) delle spese per CTU, negli importi già liquidati, con conseguente obbligo e condanna, al rimborso a favore di parte attorea di quanto dalla stessa eventualmente già anticipato a tale titolo.
Dichiara la presente sentenza esecutiva ex lege.
Bologna 14.04.2014
Pubblicazione del 9 MAGGIO 2014