Responsabilità Medica a Bologna: Sentenza su Infezione da Protesi

Sommario

Risarcimento danni per malpractice chirurgica a Bologna: il caso di Pa. Tu. e Villa Erbosa

Il tema della responsabilità medica è sempre più rilevante nel panorama giuridico, soprattutto quando si tratta di risarcimento danni derivanti da interventi chirurgici malriusciti. Un esempio concreto di tale problematica è il caso legale che coinvolge Pa. Tu., residente a Bologna, e la Casa di Cura Villa Erbosa S.p.A., situata nella stessa città.

La causa, incentrata su presunta malpractice chirurgica, ha portato alla richiesta di risarcimento danni da parte degli eredi di Pa. Tu., per le gravi conseguenze fisiche e psicologiche subite dalla paziente, a seguito di interventi alle anche nel 2015.

La decisione legale e il risarcimento danni a Bologna

L’azione legale avviata dagli eredi di Pa. Tu. si è concentrata su tre aspetti principali: la responsabilità medica e strutturale, la prescrizione dei termini per chiedere il risarcimento danni, e il danno riflesso subito dai familiari della vittima.

Il Tribunale di Bologna ha deciso di respingere l’eccezione di prescrizione sollevata dalla Casa di Cura Villa Erbosa, che sosteneva che il termine di cinque anni per il risarcimento dovesse iniziare a decorrere dal 2015, anno dell’intervento. Il Giudice, però, ha stabilito che la prescrizione inizi a partire dal 2017, quando gli attori hanno acquisito consapevolezza del nesso causale tra il danno subito da Pa. Tu. e l’errore medico, in seguito alle perizie mediche.

Inoltre, il Tribunale ha riconosciuto il danno riflesso subito dai congiunti di Pa. Tu., ossia il danno non patrimoniale derivante dalla sofferenza psicologica e dalla rottura degli equilibri familiari, come stabilito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 25541/2022.

La responsabilità solidale delle strutture sanitarie

Un aspetto rilevante del caso riguarda la responsabilità solidale tra il medico e la struttura sanitaria. Villa Erbosa, pur non essendo direttamente responsabile dei medici non dipendenti, è stata comunque ritenuta corresponsabile per le malpratiche commesse dal Dott. Za. in quanto la struttura non ha adottato misure preventive adeguate. Il Tribunale ha rigettato la domanda di regresso della Casa di Cura verso il medico, ribadendo che la responsabilità è paritaria, come previsto dalla Legge Gelli-Bianco (L. 24/2017).

L’esame del caso nello specifico

La causa in esame riguarda una richiesta di risarcimento danni proposta da Al. Delle Si. Bo. (in proprio e come erede del padre Gi. Delle Si.) e Pa. Tu. (come erede del marito Gi. Delle Si.) nei confronti del Dott. St. Za. e della Casa di Cura Villa Erbosa S.p.A., per danni riflessi derivanti da presunta malpractice chirurgica subita da Pa. Tu. durante due interventi alle anche nel 2015. I fatti salienti sono i seguenti:

Iter Clinico

  • Nel 2015, a Pa. Tu. (allora 73 anni) viene diagnosticata una coxartrosi bilaterale (grave artropatia degenerativa delle anche).
  • Il 13 maggio 2015 si sottopone a impianto simultaneo di protesi bilaterali presso Villa Erbosa, eseguito dal Dott. Za.
  • A seguito di plurime lussazioni spontanee delle protesi, il 28 agosto 2015 viene effettuato un secondo intervento correttivo.
  • Successivamente, si sviluppa un’infezione (osteomielite cronica) che richiede ulteriori interventi: Settembre 2016: rimozione della protesi sinistra e inserimento di spaziatore antibiotico; Ottobre 2016-gennaio 2017: sostituzioni dello spaziatore e ulteriori cure per infezioni persistenti.
  • La paziente riporta una menomazione permanente del 30-35%, con grave limitazione motoria e necessità di assistenza continua.

Procedura Giudiziale

  • Gli attori avviano un accertamento tecnico preventivo (CTU) ex art. 696 bis c.p.c., confermante la responsabilità medica e strutturale.
  • Nel 2022, Villa Erbosa eccepisce la prescrizione quinquennale (art. 2947 c.c.), sostenendo che il termine decorreva dal 2015.
  • Il Giudice rigetta l’eccezione, ritenendo che la prescrizione inizi a decorrere solo dal momento in cui gli attori hanno acquisito consapevolezza del nesso tra danni e malpractice (2017).

Questioni Giuridiche Rilevanti

La decisione si fonda su tre pilastri giuridici:

1. Responsabilità Extracontrattuale e Prescrizione

  • Qualificazione dell’illecito: La responsabilità di Villa Erbosa e del Dott. Za. è inquadrata nell’ambito dell’art. 2043 c.c. (illecito civile), poiché i congiunti della paziente non sono parti del contratto di cura (art. 1372 c.c.).

  • Decorrenza della prescrizione: Il termine quinquennale non decorre dalla data degli interventi (2015), ma dal momento in cui gli attori hanno potuto riconoscere il danno come conseguenza della malpractice. La Corte richiama la giurisprudenza (Cass. n. 581/2008) secondo cui il dies a quo coincide con la percezione oggettiva del danno e del suo legame causale con l’illecito, verificatasi solo nel 2017 con le perizie mediche.

2. Danno Riflesso dei Congiunti

  • Natura del danno: I familiari della vittima di malpractice possono chiedere il risarcimento del danno non patrimoniale riflesso, consistente in:

    • Sofferenza interiore per il deterioramento delle condizioni della vittima.

    • Alterazione degli equilibri familiari e dinamiche relazionali.

  • Prova del danno: La Cassazione (sent. n. 25541/2022) ammette la prova per presunzioni, basata sulla gravità delle lesioni e sul rapporto di stretta parentela. Nel caso specifico, la menomazione del 30-35% e la necessità di assistenza continua giustificano il riconoscimento del danno.

3. Quantificazione del Risarcimento

  • Parametri delle Tabelle di Roma: Il Giudice utilizza le tabelle del Tribunale di Roma (2019) per liquidare il danno riflesso, considerando:

    • Grado di parentela (figlio e coniuge).

    • Età della vittima e dei congiunti.

    • Percentuale di danno biologico accertata (32,5%).

  • Liquidazione:

    • Al. Delle Si. Bo. (figlio): € 36.840,00, calcolati su 16,8 punti (valore € 4.000/punto).

    • Gi. Delle Si. (marito deceduto): € 15.000,00, ridotti per il breve lasso temporale (4 anni) prima del decesso.

Rigetto della Domanda di Regresso di Villa Erbosa

La struttura sanitaria aveva chiesto di rivalsa sul Dott. Za. per eventuali condanne. Il Giudice respinge la richiesta, richiamando la Legge Gelli-Bianco (L. 24/2017) e la giurisprudenza (Cass. n. 29001/2021):

  • La struttura è direttamente responsabile per l’avvalersi del medico (art. 1218 c.c.), anche se non dipendente.

  • La responsabilità è solidale e paritaria tra struttura e medico, salvo prova di colpa esclusiva di quest’ultimo.

  • Villa Erbosa non ha dimostrato:

    • Che il Dott. Za. abbia agito in modo del tutto estraneo al contesto ospedaliero.

    • Di aver adottato controlli adeguati per prevenire errori.

Conclusioni e Dispositivo

Il Tribunale:

  1. Condanna in solido Villa Erbosa e il Dott. Za. al pagamento di:

    • € 36.840,00 ad Al. Delle Si. Bo.

    • € 15.000,00 a Pa. Tu. (come erede del marito).

  2. Rigetta la domanda di regresso di Villa Erbosa, confermando la ripartizione al 50% della responsabilità.

  3. Liquidazione spese legali: € 8.218,00 + rimborsi forfettari.

Analisi Critica e Rilevanza Precedenti

  • Prescrizione e consapevolezza del danno: La decisione ribadisce un principio cardine nella malpractice: il termine prescrizionale non può decorrere prima che il paziente (o i familiari) abbiano gli strumenti per collegare il danno all’errore medico, specie in casi di infezioni ospedaliere complesse.

  • Danno riflesso e parametri tabellari: L’uso delle Tabelle di Roma segnala una tendenza a standardizzare i risarcimenti per danni morali, bilanciando equità e prevedibilità. Tuttavia, la riduzione del risarcimento al marito deceduto solleva interrogativi sulla coerenza con il principio di “reintegrazione integrale”.

  • Responsabilità solidale delle strutture: La sentenza conferma l’orientamento che rende le cliniche corresponsabili degli errori dei medici, incentivando controlli più stringenti.

La decisione, pur complessa, offre un esempio chiaro di come il diritto italiano affronti le sfide della responsabilità medica, coniugando tutela delle vittime e razionalizzazione dei risarcimenti.

Tribunale Bologna sez. III, 26/09/2024 n. 2511

Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione

Con atto di citazione ritualmente notificato, Al. Delle Si. Bo., in proprio e in qualità di erede del padre Gi. Delle Si., e Pa. Tu., unicamente nella sua qualità di erede del marito Gi. Delle Si., convenivano innanzi all’intestato Tribunale il Dott. St. Za. e Villa Erbosa spa al fine di ottenerne la condanna in solido al risarcimento dei danni sofferti in via riflessa per le menomazioni residuate alla sig.ra Tu., madre di Al. e moglie di Gi. – ed alla stessa già risarcite -, a seguito della malpractice medico chirurgica verificatasi nel corso degli interventi chirurgici ai quali la stessa si era sottoposta in data 13.5.2015 e in data 28.8.2015 presso la struttura convenuta e ad opera del citato professionista.

In particolare, nel corso del 2015, Pa. Tu., accusando forti dolori ad entrambe le anche, si sottoponeva ad esami clinici all’esito dei quali le era diagnosticata una coxartrosi bilaterale.

Per tale ragione, decideva di ricoverarsi presso la Casa di Cura Villa Erbosa, dove si affidava alle cure del Dott. St. Za. e, in data 13.05.15, veniva sottoposta ad intervento chirurgico di impianto simultaneo bilaterale ATA destra e sinistra.

Nel corso delle settimane successive al predetto intervento chirurgico, si verificavano plurime lussazioni spontanee di entrambe le anche, motivo per cui, in data 27.08.15, veniva nuovamente ricoverata presso la clinica Villa Erbosa, dove veniva sottoposta ad intervento chirurgico per lussazione recidivante ATA destra e sinistra.

Successivamente al secondo intervento, veniva riscontrata una raccolta ipodensa fluida nel muscolo ileo psoas, cui seguiva:

– nel settembre 2016, intervento di rimozione della protesi -vista la raccolta flogistico-settica creatasi intorno alla stessa- ed inserimento di spaziatore presso l’Ospedale di Pistoia;

– dal 30.09.16 al 15.10.16, ricovero presso l’Azienda Ospedaliera Sant’Orsola di Bologna e cura per osteomielite cronica ossa bacino e femore;

– in data 21.10.16, ricovero presso l’Istituto Ortopedico Rizzoli ed intervento per la sostituzione del cemento e dello spaziatore all’anca sinistra;

– in data 31.01.2017, sempre presso l’Istituto Ortopedico Rizzoli rimozione dello spaziatore e rilievo di impossibilità di riposizionamento della protesi.

Alla luce delle predette circostanze, la paziente richiedeva l’esperimento di Accertamento Tecnico Preventivo ex art. 696 bis cpc.

Il Giudice nominava il Dott. Ma. Ma., che a sua volta nominava quale ausiliario il Dott. Gu. Za., specialista in Ortopedia.

Veniva quindi depositata CTU che rilevava la sussistenza di profili di responsabilità in capo ai resistenti Dott. Za. e Villa Erbosa; quindi, a seguito di successivo procedimento ex art. 702 bis c.p.c., seguiva la definizione transattiva della vertenza.

Per tali ragioni, gli odierni attori agivano per ottenere il risarcimento del danno riflesso patito in conseguenza della condizione menomativa residuata alla Tu. (indicata dalla CTU nel 30-35% su base 30-35%), agendo anche in qualità di eredi del marito e padre, Gi. Delle Si., deceduto in data 14.12.2019, così quantificato come nelle conclusioni di cui sopra.

Con comparsa di costituzione e risposta del 21.11.22 si costituiva Villa Erbosa S.p.A. contestando integralmente le domande e le allegazioni degli attori e chiedendone, pertanto, il rigetto.

La convenuta eccepiva, in via preliminare, la prescrizione per intervenuta decorrenza del termine quinquiennale ex art. 2947 c.c. del diritto fatto valere dagli attori, e chiedeva, altresì, di essere autorizzata alla chiamata in causa del Dott. Za. per vedersi garantita nell’eventualità di una condanna a suo carico. Il Giudice rigettava l’istanza ed ordinava la notifica della domanda riconvenzionale trasversale al convenuto non comparso.

Successivamente, all’udienza del 27.04.23, il Dott. Za., pur regolarmente citato, non si costituiva; il Giudice, dopo averne dichiarato la contumacia, concedeva alle parti i termini per il deposito di memorie ex art. 183 comma VI cpc e rinviava la causa all’udienza del 10.10.23.

All’esito del deposito delle memorie ad opera degli attori e della convenuta Villa Erbosa, il Giudice, ritenuta la causa matura per la decisione, rinviava al 30.05.24, per la precisazione delle conclusioni.

Infine, all’esito di tale udienza, la causa veniva trattenuta in decisione con assegnazione alle parti dei termini ex art. 190 c.p.c.

Le pretese risarcitorie avanzate dagli attori sono fondate nei limiti e per le ragioni che di seguito si andranno a illustrare.

La vicenda e l’iter clinico della sig.ra Tu.

La paziente, dal 2012, aveva iniziato a soffrire di una rilevante artropatia degenerativa di entrambe le anche, con dolore da carico funzionale ingravescente. Per tale motivo, il 13 maggio 2015 veniva sottoposta – presso l’Ospedale Villa Erbosa di Bologna – a intervento chirurgico di artroprotesizzazione bilaterale delle articolazioni delle anche eseguito dal Dott. Za..

Successivamente a tale intervento chirurgico, la sig.ra Tu. aveva episodi di lussazione bilaterale delle artroprotesi, sia a destra (referto P.S. del 05.08.15), sia a sinistra (referto P.S. del 07.08.15 e referto Ospedale di Pistoia del 10.08.15), per i quali si provvedeva ad una riduzione.

A causa degli episodi di lussazione recidivante, il 28 agosto 2015 la paziente veniva sottoposta – ancora ad opera del Dott. Za. presso l’Ospedale Villa Erbosa di Bologna – a reintervento di protesizzazione bilaterale, con sostituzione di inserto e testina, a cui seguiva il trasferimento nell’Unità Operativa di Riabilitazione della medesima struttura, anche a causa della formazione di una raccolta emorragica a livello dell’anca sinistra.

Nel corso della degenza, inoltre, si assisteva ad un incremento degli indici di flogosi, espressione di una sovra-infezione della raccolta ematica.

La paziente era dimessa il 15 ottobre 2015.

Tuttavia, persistendo l’infezione, veniva seguita e trattata in ambito specialistico (si veda anche un ricovero i primi di settembre 2016 nell’Unità Operativa di Malattie Infettive dell’Ospedale di Pistoia); successivamente il 15 settembre 2016, presso l’Ospedale Villa Erbosa, la sig.ra Tu. era sottoposta a intervento chirurgico di rimozione della protesi dell’anca sinistra infettata, sostituita mediante uno spaziatore antibiotato.

Sennonché, il 21 ottobre 2016, gli specialisti dell’Istituto Ortopedico Rizzoli (IOR) di Bologna – per la persistenza di dolore inguinale irradiato alla coscia e importante limitazione funzionale – rimuovevano lo spaziatore antibiotato e lo sostituivano.

Infine, il 31 gennaio 2017, ancora presso lo IOR di Bologna, era necessario rimuovere lo spaziatore antibiotato, il cui posizionamento non aveva consentito di contenere il processo infettivo.

Da tale epoca si susseguivano ricoveri e consulenze specialistiche presso varie strutture per proseguire le cure.

L’ultima consulenza agli atti è stata effettuata presso lo IOR di Bologna in data12.06.2017 ed attesta “una ferita chirurgica cicatrizzata, non segni locali di infezione, dolore inguinale da sovraccarico funzionale, deambulazione con l’ausilio di un girello, ma la persistenza di elevati indici ematochimici di flogosi (infiammazione).” (CTU pag. 27)

Questa, in sintesi, la ricostruzione dell’iter clinico che ha interessato l’attrice.

Sulla natura della responsabilità della struttura sanitaria e del medico rispetto alle posizioni dei congiunti di Tu. Pa.. Inoperatività del c.d. contratto di spedalità rispetto ai terzi.

Prima di procedere alla disamina delle specifiche pretese e censure sollevate dalle parti, giova richiamare brevemente i principi informatori in materia.

Come noto, i congiunti del danneggiato che vantano pretese risarcitorie indirette per danni c.d. riflessi, non possono invocare una responsabilità derivante dal contratto di spedalità intercorrente tra la struttura e il solo paziente.

Valgono infatti, in questo caso, le regole generali in materia dettate dall’art. 1372 c.c., secondo cui il contratto ha effetto tra le sole parti che lo hanno sottoscritto e non anche tra soggetti terzi.

L’unica eccezione a tale regola, ascrivibile alla figura di creazione giurisprudenziale del c.d. contratto con effetti protettivi a favore dei terzi, è ampiamente riconosciuta dalla stessa Corte di Cassazione con riferimento alle prestazioni sanitarie afferenti alla procreazione e prevede, appunto, una estensione degli effetti del contratto stipulato dalla gestante anche al nascituro e al padre, i quali devono considerarsi tutelati dai medesimi obblighi di protezione; tali effetti giuridici, tuttavia, devono ritenersi limitati esclusivamente a tale particolarissimo ambito.

Non sono pertanto ammissibili estensioni di alcun tipo, atteso che in tutte le altre ipotesi di responsabilità medico-chirurgica, i congiunti non sono parti del contratto e neppure possono invocare una estensione degli effetti protettivi di cui è beneficiario il solo paziente direttamente danneggiato.

Nel caso di specie, dunque, la responsabilità di VILLA ERBOSA e del Dott. Za. nei confronti dei congiunti della paziente deve essere inquadrata nell’ambito della disciplina in materia di fatti illeciti e, nello specifico, operando il combinato disposto degli artt. 2043 e 2049 c.c.

Sulla eccezione preliminare sollevata da VILLA ERBOSA: intervenuta prescrizione del diritto fatto valere in giudizio.

Dalla qualificazione della responsabilità delle parti convenute come extracontrattuale, discende l’applicabilità alla medesima del più breve termine di prescrizione quinquennale.

Di qui, l’eccezione di prescrizione sollevata, in via preliminare, dalla struttura sanitaria convenuta per intervenuta decorrenza del termine quinquennale ex art. 2947 c.c. del diritto degli attori al risarcimento del danno richiesto.

In particolare, Villa Erbosa ha rilevato che gli interventi chirurgici censurati e dai quali sarebbero derivate le conseguenze dannose risalgono al maggio ed all’agosto del 2015, mentre il primo atto validamente interruttivo della prescrizione risale al 12.01.2021 (doc. 39 fascicolo attoreo).

Come è noto, in base all’art. 2935 c.c., norma assolutamente aperta a molteplici e contrapposte interpretazioni, “la prescrizione della pretesa risarcitoria inizia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”.

L’art. 2947 c.c., comma 1, aggiunge che il diritto al risarcimento del danno da fatto illecito si prescrive in cinque anni dal giorno in cui il “fatto si è verificato”.

La Corte di Cassazione ha affrontato il significato da attribuirsi all’espressione “verificarsi del danno”, specificando che il danno si manifesta all’esterno quando diviene “oggettivamente percepibile e riconoscibile” anche in relazione alla sua rilevanza giuridica.

Sulla base di tali presupposti il Giudice di Legittimità ha successivamente ritenuto che il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno di chi assume di avere contratto per contagio una malattia per fatto doloso o colposo di un terzo inizia a decorrere, a norma dell’art. 2947 c.c., comma 1, non dal momento in cui il terzo determina la modificazione che produce danno all’altrui diritto o dal momento in cui la malattia si manifesta all’esterno, ma dal momento in cui la malattia viene percepita o può essere percepita quale danno ingiusto conseguente al comportamento doloso o colposo di un terzo, usando l’ordinaria diligenza e tenuto conto della diffusione delle conoscenze scientifiche. Qualora invece non sia conoscibile la causa del contagio, la prescrizione non può iniziare a decorrere, poiché la malattia, sofferta come tragica fatalità non imputabile ad un terzo, non è idonea in sé a concretizzare il “fatto” che l’art. 2947 c.c., comma 1, individua quale esordio della prescrizione (Cass. 21/02/2003, n. 2645; Cass. 05/07/2004, n. 12287; Cass. 08/05/2006, n. 10493).

Significativa sul punto è la sentenza n. 581/2008 con cui si sono pronunciate le Sezioni Unite.

In particolare, la Suprema Corte chiarisce che l’individuazione del dies a quo “(…) ancorata solo ed esclusivamente al parametro dell’”esteriorizzazione del danno può, come visto, rivelarsi limitante ed impedire una piena comprensione delle ragioni che giustificano l’inattività (incolpevole) della vittima rispetto all’esercizio dei suoi diritti (…)”.

È pertanto auspicabile, a tal fine, un approccio che prenda in considerazione le informazioni, cui la vittima ha avuto accesso o per la cui acquisizione si sarebbe dovuta diligentemente attivare, nonché la “loro idoneità a consentire al danneggiato una conoscenza, ragionevolmente completa, circa i dati necessari per l’instaurazione del giudizio (non solo il danno, ma anche il nesso di causa e le azioni/omissioni rilevanti) e della loro disponibilità in capo al convenuto, con conseguenti riflessi sulla condotta tenuta da quest’ultimo eventualmente colpevole di non avere fornito quelle informazioni alla vittima, nei casi in cui era a ciò tenuto (ciò è pacifico negli ordinamenti anglosassoni, in tema di medical malpractice).”

In ogni caso, chiarisce la Corte, con quanto sopra statuito non si vuole dare rilevanza alla mera conoscibilità soggettiva del danneggiato, atteso che è necessario applicare due parametri obiettivi, entrambi verificabili dal Giudice, quali l’ordinaria diligenza della persona lesa e il livello di conoscenze scientifiche dell’epoca (sul punto, si segnalano, in senso conforme Corte di Cassazione, ordinanza 12 Ottobre 2022 n. 29760; Corte di Cassazione sentenza 29 dicembre 2023, n. 36548, Corte di Cassazione sentenza 24 gennaio 2024 n. 2375 con cui il Giudice di Legittimità ha fatto decorrere il termine prescrizionale per i danni patiti nella fase prenatale conseguenti alla somministrazione di farmaci dal momento della presentazione della domanda di indennizzo, applicando i medesimi principi del danno lungolatente).

Seppur la pronuncia sopra richiamata abbia ad oggetto un’ipotesi di fatto dannoso lungolatente, si ritiene che i principi in tema di prescrizione ivi contenuti siano perfettamente applicabili al caso di specie.

Infatti, la prescrizione nell’ordinamento civile consiste nell’estinzione di un diritto soggettivo a causa del suo mancato esercizio per un determinato periodo di tempo, e, pertanto, risponde all’esigenza di tutelare l’interesse del soggetto passivo a non restare obbligato per un periodo indefinito di tempo.

Alla stregua di quanto sopra, è chiaro che la decorrenza del termine prescrizionale, anche alla luce del bilanciamento di interessi contrapposti, non può avvenire se il mancato esercizio dipende dalla non conoscibilità del danneggiato di essere titolare del relativo diritto, perché, ad esempio, i danni subiti vengono percepiti quali conseguenze nefaste non imputabili a responsabilità medica.

Applicando i su esposti principi al caso in esame e considerando quanto emerge dalla documentazione agli atti, si evince che la conoscenza del danno subito e la riconducibilità a Villa Erbosa e/o al Dott. Za., è sicuramente successiva al 12.01.2016 (data prima della quale sarebbe maturata la prescrizione quinquennale).

Dall’esame della documentazione in atti emerge, infatti, che gli attori hanno raggiunto chiaramente la conoscenza dell’esistenza del danno e della responsabilità in capo alle parti convenute con la perizia del Prof. Ma. (doc. 35), depositata in data 02.11.18, ovvero con quella precedente del Dott. Ma. Cr., perito di parte nominato dalla Sig.ra Pa. Tu. (doc. 43), del 20.09.17.

Emerge, inoltre, che l’infezione dell’anca estesa all’osso pelvico ed ai tessuti molli circostanti – senza nemmeno sapere, però, da dove potesse essere derivata -, fu scoperta solo in seguito agli esami a cui la paziente si sottopose durante il ricovero presso l’Ospedale San Jacopo dal 02.09.16 al 09.09.16 (doc. 17).

A conferma di quanto sopra si rileva pure che risale al 31.08.2016 la lettera di dimissioni sottoscritta dal Dott. Za. (doc. 16 fascicolo attoreo), con cui si attesta che la paziente non veniva sottoposta a nuovo intervento presso la Casa di Cura convenuta a cagione dell’avvenuta diagnosi di endocardite.

A parere di chi scrive è logico che, se la paziente a quel tempo avesse già avuto contezza che i danni patiti derivavano da malpractice medica, non avrebbe certamente preso in considerazione un ulteriore intervento presso la medesima Casa di Cura e ad opera del medesimo professionista.

È evidente, dunque, come prima degli esami svolti a settembre 2016, la Tu. ed i suoi congiunti non sapessero nemmeno che ci fosse un problema di natura settica a livello di anca e di osso pelvico.

Solo nel settembre 2017, con la perizia del Dott. Cr., ebbero a comprendere come la natura di questa infezione traesse origine da un comportamento di Villa Erbosa e del Dott. Za..

Certamente non avrebbero potuto averne contezza prima del 12.01.2016. Pertanto, non può che concludersi per il rigetto della eccezione preliminare di intervenuta prescrizione quinquennale.

Il danno riflesso dei prossimi congiunti.

La circostanza che Tu. Pa. sia stata vittima di malpractice medica che le ha cagionato un evidente danno è incontestata, come testimoniato dal fatto che sia la clinica Villa Erbosa che il Dott. Za. hanno provveduto a risarcire la stessa in sede stragiudiziale, seppur con uno strascico giudiziale (cfr. docc. 37 e 38 fascicolo attoreo).

Si rammenta, infatti, che Tu. Pa. adiva questo Tribunale, al fine di comporre bonariamente la lite, richiedendo l’esperimento di una consulenza tecnica d’ufficio a fini conciliativi ex art. 696 bis cpc (doc. 32). Il Giudice nominava CTU il Dott. Ma. Ma. (doc. 33), che a sua volta nominava suo ausiliario il Dott. Gu. Za., specialista in Ortopedia (doc. 34). All’esito delle operazioni peritali, il CTU nominato, redigeva il suo elaborato, che condivideva con le parti (doc. 35).

Le conclusioni a cui giungeva erano che: “L’infezione, manifestatasi dopo l’intervento chirurgico del 28 agosto 2015, è da ricondurre ad una tipica “ICA” (Infezione Correlata all’Assistenza) (….) Alla sig.ra Pa. Tu. ne sono derivati i danni di seguito indicati.

– Inabilità temporanea totale: giorni 130 (cento-trenta).

– Inabilità temporanea parziale al 75%: giorni 300 (trecento)

– Danno biologico permanente: range 30-35% (trenta – trentacinque), come danno differenziale, dove il limite inferiore è da collocare in analogo range (30-35%)”.

A seguito di tentativi di componimento bonario dall’esito negativo, veniva, quindi, introdotta azione giudiziaria ex art. 702 bis cpc (doc. 36), che si chiudeva con il risarcimento della ricorrente, in via transattiva (doc. 37).

A seguito di tale transazione, Tu. Pa. riceveva a titolo risarcitorio la somma complessiva di € 407.076,80, di cui € 370.000,00 a titolo di sorte capitale, € 7.320,00 a titolo di spese di CTU e CTP, € 22.756,80 a titolo di spese legali. Villa Erbosa s.p.a. e il Dott. Za. si accordavano per la seguente ripartizione del pagamento: 65% in capo a Villa Erbosa, 35% in capo al Dott. Za..

La signora Tu. era costretta ad agire nuovamente in sede giudiziaria (doc. 38) a causa dell’inadempimento del Dott. Za. e, infine, riusciva, infine, ad ottenere quanto dovutole a titolo risarcitorio.

Tanto sinteticamente premesso, deve trovare accoglimento la domanda di risarcimento del danno avanzato da Al. Delle Si. Bo., in proprio e in qualità di erede del padre Gi. Delle Si., e da Pa. Tu., in qualità di erede del marito Gi. Delle Si., dal momento che <<la lesione subita dal congiunto fa sorgere in capo ai parenti della vittima un danno non riflesso, ma diretto e consistente non solo nel possibile (e non più necessario) sconvolgimento delle abitudini di vita, ma anche nella sofferenza d’animo interiore. Tali conseguenze pregiudizievoli sono dimostrabili anche per presunzioni, con particolare riferimento al legame parentale esistente tra la vittima materiale e i congiunti>> (cfr. Cass. sez. III, 08/04/2020, n. 7748).

Nel caso di specie, i pregiudizi lamentati e di cui oggi si chiede il ristoro sono evidentemente connessi alla alterazione degli equilibri e della serenità familiare, dovuta agli effetti delle patologie grandemente invalidanti di cui Pa. Tu. soffre e che, in parte, potevano essere evitate o quantomeno significativamente ridotte all’esito di un corretto percorso terapeutico.

Si tratta, dunque, di pregiudizi che afferiscono sia alla sofferenza interiore patita dal marito e dal figlio della Tu. per aver assistito al deteriorarsi delle condizioni fisiche e psicologiche della moglie/madre – donna da sempre piena di vitalità e interessi, ora costretta prevalentemente a deambulare sulla sedia a rotelle e bisognosa di assidua assistenza – sia alla sfera dinamico-relazionale del nucleo familiare, in parte sicuramente compromessa nella sua serena quotidianità, fatta di riti e abitudini consolidate, dalla gravità delle menomazioni accusate dalla Tu..

È pacifico, peraltro, che “la prova del danno non patrimoniale, patito dai prossimi congiunti di persona resa invalida dall’altrui illecito, può essere desunta anche soltanto dalla gravità delle lesioni, sempre che l’esistenza del danno non patrimoniale sia stata debitamente allegata nell’atto introduttivo del giudizio” (Cass. n. 2228/2012) e che “il danno non patrimoniale, consistente nella sofferenza morale patita dal prossimo congiunto di persona lesa in modo non lieve dall’altrui illecito, può essere dimostrato con ricorso alla prova presuntiva, che deve essere cercata anche d’ufficio, se la parte abbia dedotto e provato i fatti noti dai quali il giudice, sulla base di un ragionamento logico-deduttivo, può trarre le conseguenze per risalire al fatto ignorato” (Cass. n. 17058/2017; cfr. anche Cass. n. 2788/2019 e Cass. n. 11212/2019).

In particolare, il pregiudizio “si traduce in un «patema d’animo» ed in uno «sconvolgimento delle abitudini di vita del soggetto» e non è pertanto accertabile con metodi scientifici e può essere accertato per presunzioni, fra le quali assume rilievo «il rapporto di stretta parentela esistente fra la vittima ed i suoi familiari che fa ritenere, secondo un criterio di normalità sociale, che essi soffrano per le gravissime lesioni riportate dal loro prossimo congiunto». Ovviamente, e non potendo configurarsi un danno in re ipsa, resta ferma la possibilità, per la controparte, di dimostrare l’assenza di un legame affettivo” (in questi termini, Cassazione, 30 agosto 2022, n. 25541).

Vi è da dire, tuttavia, che i pregiudizi lamentati dai congiunti della Tu. devono necessariamente essere circoscritti a quelli causalmente connessi alle sole condotte imputabili a malpractice sanitaria e non alla condizione menomativa già sofferta dalla congiunta né a quelli costituenti esito prevedibile dell’intervento protesico.

Occorre, inoltre, considerare che la riferita rinuncia ai “numerosi interessi” che in tesi la Tu. “coltivava con il marito e con il figlio” pare riferibile anche all’avanzare dell’età dei coniugi, che all’epoca del primo intervento censurato avevano rispettivamente 73 anni, la Tu., ed 81 anni il marito Gi. Delle Si., oltre che alla progressione della condizione menomativa già sofferta dalla sig.ra Tu. e parzialmente inemendabile.

Con riferimento, poi, ai danni pretesi dagli attori in qualità di eredi di Gi. Delle Si., occorre considerare l’intervenuto decesso dello stesso in data 14.12.2019 e perciò a distanza di quattro anni dai censurati interventi chirurgici, dovendo perciò eventualmente liquidarsi il danno riflesso dallo stesso patito limitatamente a tale breve lasso temporale.

Ebbene, per quanto concerne la liquidazione di tale danno, secondo la Suprema Corte, <<il giudice deve fare riferimento a tabelle che prevedano specificamente idonee modalità di quantificazione del danno, come le tabelle predisposte dal Tribunale di Roma, le quali, fin dal 2019, contengono un quadro dedicato alla liquidazione dei danni c.d. riflessi subiti dai congiunti della vittima primaria in caso di lesioni>> (cfr. Cass. sez. III, 17/05/2023, n. 13540).

In particolare, i parametri da prendere in considerazione per il calcolo del risarcimento sono i seguenti: relazione di parentela con il danneggiato; il numero dei soggetti tenuti all’assistenza e coefficiente connesso; età del danneggiato; età del parente da risarcire; percentuale di danno biologico riconosciuta al danneggiato.

Il valore del punto attribuito dalle Tabelle romane considera le due diverse componenti del danno “morale” vale a dire l’aspetto interiore del danno sofferto, e l’aspetto dinamico-relazionale, coincidente con la modificazione peggiorativa delle relazioni di vita esterne del soggetto, fino ad un Ma. complessivo di € 6.000,00.

In base a tali parametri devono essere assegnati a Al. Delle Si. Bo., 16,8 punti ( 15 punti per la relazione di parentela, 3 punti per l’età del danneggiato (74 anni); 6 punti per l’età del parente da risarcire (40 anni); 0,7 quale coefficiente connesso al numero (due) dei soggetti tenuti all’assistenza.

Quanto al valore del punto, si stima equo fissarlo in € 4.000,00 tenuto conto dell’assenza di convivenza tra madre e figlio, – ciò che porta a ritenere attenuato il livello di sofferenza interiore rispetto a chi, come il coniuge, condivide la quotidianità con il soggetto invalido – e della presenza tra le mura domestiche, dichiarata da parte attorea, di terza persona deputata all’assistenza dei coniugi.

Tenuto conto che la percentuale di danno biologico attribuibile a malpractice medica è stata indicata tra il 30% – 35% e, dunque, considerato il valore mediano del 32,5%, il danno patito dall’attore in proprio è liquidato in € 21.840,00 (16,8×4.000×32,5%).

Con riguardo al signor Gi. Delle Si. il punteggio da assegnare è pari a 24: 20 punti per il rapporto di parentela con il danneggiato, 3 punti per l’età del danneggiato, 1 punto per l’età del parente da risarcire, mentre nessun coefficiente deve essere applicato.

Si stima equo fissare il valore del punto in € 5.000,00 tenuto conto, come sopra detto, della presenza di terza persona di ausilio assistenziale e domestico.

Nel caso del signor Gi. Delle Si. il danno è, dunque, liquidato in € 39.000,00 (24×5.000×32,5%), da ridursi equitativamente a € 30.000,00 in considerazione del breve lasso temporale (quattro anni) intercorso tra il danno riflesso patito e il decesso di Gi. Delle Si..

Fatti i dovuti calcoli le parti convenute vanno, pertanto, condannate in solido al pagamento nei confronti di Al. Delle Si. Bo., a titolo di risarcimento del danno riflesso iure proprio e iure successionis, della somma complessiva di € 36.840,00, e nei confronti di Pa. Tu., iure successionis, di € 15.000,00, oltre interessi dalla domanda all’effettivo soddisfo.

La domanda di regresso di Villa Erbosa s.p.a.

Non merita accoglimento la domanda di regresso formulata da Villa Erbosa s.p.a. nei confronti del Dott. Za.. Infatti, l’art. 7 della legge 8 marzo 2017, n. 24, stabilisce, al comma 1, che <<La struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che, nell’adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell’opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli artt. 1218 e 1228 cod. civ., delle loro condotte dolose o colpose>>.

La responsabilità della struttura è dunque ancorata al dato oggettivo dell’avvalimento dell’opera del medico, e del personale sanitario nel suo complesso, sempre che questi sia incorso in colpa professionale. Emerge in maniera netta la sussistenza di una responsabilità diretta della struttura in relazione alla somministrazione al paziente di una complessa prestazione, che non si esaurisce nella semplice prestazione eseguita dal professionista, ma si manifesta anche nella messa a disposizione degli strumenti professionali, del personale medico ausiliario, dei farmaci, del personale infermieristico e della prestazione dei servizi alberghieri.

Secondo giurisprudenza consolidata, la responsabilità della struttura sanitaria integra, ai sensi dell’art. 1228 cod. civ., una fattispecie di responsabilità diretta per fatto proprio, fondata sull’elemento soggettivo dell’ausiliario (dolo o colpa), la quale trova fondamento nell’assunzione del rischio per i danni che al creditore possono derivare dall’utilizzazione dei terzi nell’adempimento della propria obbligazione contrattuale, e che deve essere distinta dalla responsabilità indiretta per fatto altrui, di natura oggettiva, in base alla quale l’imprenditore risponde, per i fatti dei propri dipendenti, a norma dell’art. 2049 cod. civ.; pertanto, nel rapporto interno tra la struttura e il medico, la responsabilità per i danni cagionati da colpa esclusiva di quest’ultimo deve essere ripartita in misura paritaria, secondo il criterio presuntivo degli artt. 1298, comma 2 cod. civ., e 2055, comma 3 cod. civ., atteso che, diversamente opinando, la concessione di un diritto di regresso integrale ridurrebbe il rischio di impresa assunto dalla struttura, al solo rischio di insolvibilità del medico convenuto con l’azione di rivalsa, e salvo che, nel relativo giudizio, la struttura dimostri, oltre alla colpa esclusiva del medico rispetto allo specifico evento di danno sofferto dal paziente, da un lato, la derivazione causale di quell’evento da una condotta del sanitario del tutto dissonante rispetto al piano dell’ordinaria prestazione dei servizi di spedalità e, dall’altro, l’evidenza di un difetto di correlate trascuratezze, da parte sua, nell’adempimento del relativo contratto, comprensive di omissioni di controlli atti ad evitare rischi dei propri incaricati (Cfr. Cass. n. 29001/2021). Ebbene, ritenuta raggiunta la prova tra malpractice del sanitario ed evento dannoso, la struttura non ha dato prova né del fatto che la condotta dell’esercente la professione sanitaria sia stata del tutto discrepante rispetto al piano dell’ordinaria prestazione dei servizi di spedalità offerti, né, tantomeno, del proprio corretto adempimento alle obbligazioni assunte, tra cui vi è quella di verifica e controllo delle prestazioni erogate dai propri ausiliari.

Tra il medico e la Casa di cura sussiste, dunque, un vincolo solidale in relazione all’obbligazione risarcitoria, in quanto soggetti – seppur a diverso titolo – concorrenti nella produzione dell’evento lesivo concretamente verificatosi.

Per quanto concerne i rapporti interni, considerata la complessità della vicenda clinica della paziente, si ritiene che ciascuna parte convenuta sia responsabile del danno nella misura del 50%.

Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno liquidate, in base al decisum, come in dispositivo in applicazione del D.M. 55/2014, come aggiornato dal D.M. 147/2022, tenuto conto della nota spese e dell’attività difensiva concretamente prestata.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:

1) Condanna Villa Erbosa S.p.A. ed il Dott. St. Za., in solido tra loro e con ripartizione interna al 50% ciascuno, al pagamento, per i titoli di cui in motivazione, delle seguenti somme: a favore di Al. Delle Si. Bo., € 36.840,00, oltre interessi dalla domanda all’effettivo soddisfo; a favore di Pa. Tu., € 15.000,00, oltre interessi dalla domanda all’effettivo soddisfo.

2) Condanna le parti convenute, in solido e con ripartizione interna al 50% ciascuno, al pagamento in favore delle parti attrici, in solido, delle spese del presente procedimento, liquidate in € 8.218,00 per compenso professionale, oltre rimborso forfetario spese generali ex art. 2 D.M. 55/2014, I.V.A. e C.P.A. come per legge.

Bologna 25.09.2024

DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 26 SET. 2024.

L articolo ti è stato utile?
HAI UN DUBBIO CHIEDI AI NOSTRI PROFESSIONISTI

Tramite il modulo sottostante è possibile contattare lo studio legale di riferimento al fine di avere un parere sommario o un breve consulto sulla propria problematica.
Ricevuta la richiesta si provvederà a smistarla presso i nostri convenzionati. La compilazione e l’invio dello stesso non comporta alcun onere o spesa da parte del richiedente.
L’utente potrà decidere liberamente se affidare o meno la propria posizione allo studio legale di competenza.
Cordialità.

Separazioni e divorzi, Mantenimento ed Alimenti, Tutela Violenza Familiare, Affidamento Prole, Assegnazione Casa Coniugale

Successioni ed Eredità, Testamento e Divisioni ereditarie, Lesioni Legittima, Trust e Protezione patrimonio

Assistenza penale giudiziale e stragiudiziale per il risarcimento del danno. Consulenza e redazione denunce.

Azione di risarcimento con valutazione preliminare anche tramite perizia specialistica e medico legale per ponderare la fondatezza dell’azione legale.

Legge salva suicidi, gestioni indebitamento, saldo e stralcio, crisi d’impresa.

Assistenza legale in materia di contratti a imprese, professionisti e privati. Tutela per inadempimento contrattuale e responsabilità professionale.

Azione di risarcimento con valutazione preliminare anche tramite perizia specialistica e medico legale per ponderare la fondatezza dell’azione legale.

Assistenza stragiudiziale e giudiziale, diffida adempimento, procedura esecutiva e liberazione.

Assistenza e consulenza legale su Bologna e provincia. Domiciliazione legale. Indirizzi della Giurisprudenza territoriale.