SENTENZA Corte appello sez. II – Bologna, 04/02/2011, n. 186
nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 2334 del ruolo generale
dell’anno 2004 promossa da
M. O. rappresentata e difesa dagli Avv.ti E.N. e F.O. ed elettivamente domiciliata presso il secondo in Bologna Via delle T. per procura a margine dell’atto di appello
Appellante
contro
P. P. rappresentato e difeso dall’Avv. G.G, presso il cui studio è elettivamente domiciliata in Bologna P.zza M. in virtù di mandato posto a margine della comparsa di costituzione in appello
Appellato e appellante incidentale
LE ASSICURAZIONI D’ITALIA SPA
Rappresentata e difesa dall’Avv. C.S. ed elettivamente domiciliata presso lo studio del predetto legale, in Bologna, Via R. giusta procura in calce alla copia notificata dell’atto di citazione nel giudizio di primo grado
Appellata
In punto a: appello avverso la sentenza del Tribunale di Bologna n.
4699/03 depositata in Cancelleria in data 7-10-2003
CONCLUSIONI DELLE PARTI
Come nei rispettivi atti
LA CORTE
udita la relazione della causa fatta dal Consigliere relatore dott. Paola Montanari; viste le conclusioni assunte dai procuratori delle parti all’udienza del 30-3-2006 letti ed esaminati atti e documenti del processo, ha così deciso:
Svolgimento del processo
Con atto di citazione in appello ritualmente notificato, M. O. impugnava la sentenza n. 4699/03 emessa dal Tribunale di Bologna lamentando:
– un errore commesso dal primo Giudice nell’individuare e quantificare le voci di danno poiché, pur avendo ravvisato plurimi profili di colpa nell’operato del chirurgo, egli aveva limitato la liquidazione risarcitoria al danno patrimoniale rappresentato dall’esborso necessario per effettuare un intervento chirurgico di emenda ed aveva, invece, disatteso le richieste tese ad ottenere il risarcimento del danno biologico permanente valutato dal CTU e del danno morale;
– che, oltre al danno biologico ed alla pena sofferta, doveva pure essere risarcita la lesione della persona nelle molteplici manifestazioni dell’essere posto che l’errata esecuzione dell’operazione chirurgica aveva inciso in modo rilevante sulla propria vita in termini di difficoltà a svolgere le ordinarie occupazioni ed a relazionarsi con le persone.
Concludeva l’appellante chiedendo che l’adita Corte, in parziale riforma dell’appellata sentenza, accogliesse tutte le conclusioni rassegnate con l’atto di citazione nel primo giudizio.
P. P. si costituiva nel giudizio d’appello proponendo appello incidentale ed eccependo:
– che il Tribunale non aveva disatteso le richieste dell’attrice avendo quest’ultima concluso nel senso di una condanna al risarcimento dei danni subiti, genericamente indicati;
– di essere un chirurgo estetico, specialista in chirurgia plastica, e che O. M. si era a lui rivolta per un intervento modificatore dell’aspetto estetico del proprio naso, tecnicamente denominato di settorinoplastica;
– essere stato accertato che l’intervento operatorio aveva raggiunto lo scopo di eliminare gli inestetismi che affliggevano il naso della M. e che la colpa attribuitagli dal primo Giudice riguardava la parte dell’intervento concernente l’eliminazione di un congenito difetto di respirazione;
– non essere emerso che l’intervento aveva cagionato danno o che vi erano stati degli errori nel modus operandi, ma che, semplicemente, senza alcuna negligenza, non v’era stato l’auspicato risultato di eliminazione di un difetto funzionale;
– che in mancanza di imperizia o negligenza, erronea doveva considerarsi l’affermazione di una responsabilità a proprio carico non rispondendo il chirurgo del mancato raggiungimento del risultato che il cliente si attende.
Concludeva P. P. chiedendo che la Corte rigettasse l’appello proposto da O. M. e che, in accoglimento dell’appello incidentale, dichiarasse l’assenza di una colpa nell’intervento operatorio effettuato sul naso di O. M. con conseguente rigetto delle richieste risarcitorie dalla stessa avanzate, fermo restando l’obbligo della SpA Le Assicurazioni d’Italia a tenerlo indenne da qualunque onere fosse eventualmente posto a suo carico in conseguenza dei fatti dedotti.
Si costituiva nel giudizio d’appello anche la SpA Le Assicurazioni d’Italia deducendo:
– che il Tribunale, pur errando nell’affermazione di una inesistente responsabilità contrattuale del dottor P., aveva sostanzialmente accolto le istanze risarcitorie avanzate dalla M. essendosi la stessa limitata a richiedere la condanna ad una somma assolutamente indefinita;
– che alcuna attività istruttoria era stata svolta nel primo giudizio circa l’ammontare delle spese asseritamente sostenute dall’attrice.
Concludeva la SpA Assitalia chiedendo che l’appello proposto da O. M. fosse dichiarato inammissibile o fosse rigettato. Precisate le conclusioni davanti al Consigliere istruttore il 30-3-2006, all’udienza collegiale dell’8-10-2010 la causa passava in decisione.
Motivi della decisione
La richiesta di una condanna al risarcimento di tutti i danni subiti va interpretata non ex sè, bensì nel contesto dell’atto in cui è contenuta.
La richiesta di condanna formulata nell’atto di citazione nel primo giudizio va, quindi, riferita al danno biologico ed alle spese di cui si narra alle pagine 5 e 6 dello stesso atto.
Nel primo giudizio M. O. ha affermato di essersi rivolta a P. P. per effettuare un intervento di rinosettoplastica e che, secondo gli accordi presi con il P., l’intervento doveva sia correggere l’inestetismo del naso, sia risolvere la difficoltà respiratoria derivante dalla deviazione del setto.
Costituendosi nel primo giudizio P. P. non ha contestato dette circostanze avendo anch’egli precisato come la M. intendesse modificare l’aspetto estetico del proprio naso e lamentasse, altresì, una difficoltà respiratoria a destra.
Attesi i rischi sempre insiti in un intervento chirurgico, risponde, del resto, a logica che un intervento chirurgico avente finalità estetiche ben debba essere l’occasione per risolvere eventuali problemi di carattere funzionale spesso connessi, peraltro, all’inestetismo da eliminare.
Il CTU nominato nel primo giudizio ha accertato la buona riuscita dell’intervento eseguito dal P. sotto il profilo estetico, ma si è espresso nel senso del probabile aggravamento del difetto funzionale.
La relazione del consulente di parte dottor D. è sul punto oltremodo specifica affermandosi in essa che “l’escissione in eccesso del margine dorsale della cartilagine triangolare di sinistra ha formato unlocus minoris resistentiae nella impalcatura del naso dove si forma, ad ogni atto respiratorio, un effetto di va e vieni che contribuisce ad ostruire la coana di sinistra e quindi a limitare la quantità di aria che entra nella stessa”.
Il CTU, non solo non ha espressamente contestato tale valutazione, ma, dando atto dell’attuale esistenza di una patologia ostruttiva meccanica della cavità nasale di destra dovuta al collasso dell’ala nasale destra con collabimento della parete laterale del vestibolo con il setto, particolarmente evidente nella dinamica respiratoria (cfr. pag. 8 della relazione), si è espresso nel senso della probabilità che l’atto chirurgico del dottor P. abbia aggravato il difetto funzionale di cui la M. già soffriva (“… Siamo dunque convinti…. Che il danno di massima sussisteva, che non fu rimediato e con ogni probabilità aggravato…” pag. 15 della relazione).
Affermando, poi, che “la fossa nasale destra è ridotta ad una sottile fessura, ovviamente per deplezione del setto cartilagineo, e negli atti respiratori si chiude immediatamente a valvola” (cfr. pag. 11 della relazione del CTU) il CTU indirettamente conferma che la patologia ostruttiva meccanica riscontrata sulla M. è derivata dall’attività chirurgica (“deplezione del setto cartilagineo”) posta in essere dal P. In materia di responsabilità professionale medica l’elaborazione giurisprudenziale del complesso rapporto intercorrente tra il nesso causale e la colpa, con specifico riferimento ai rispettivi profili probatori, ha portato ai seguenti consolidati principi:
1) il nesso di causalità tra condotta ed evento dannoso è elemento strutturale dell’illecito e deve formare oggetto di prova da parte del danneggiato,
2) il positivo accertamento del nesso di causalità consente il passaggio alla valutazione della sussistenza o meno della colpa dell’agente la prova della cui assenza grava, nelle fattispecie di responsabilità contrattuale, sul professionista-debitore.
Se ne ricava che, ove sia dedotta una responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e/o del medico per l’inesatto adempimento della prestazione sanitaria, il danneggiato deve fornire la prova del contratto, dell’aggravamento della situazione patologica (o dell’insorgenza di nuove patologie) e del relativo nesso di causalità con l’azione o l’omissione dei sanitari restando, invece, a carico dell’obbligato la prova che la prestazione professionale è stata eseguita in modo diligente e che quegli esiti sono stati determinati da un evento imprevisto e imprevedibile.
Nella fattispecie v’è prova che l’aggravamento del difetto funzionale del naso di M. O. è stato cagionato dall’attività chirurgica di P. P. mentre non vi è prova che la prestazione professionale di quest’ultimo sia stata eseguita in modo corretto e che l’aggravamento del difetto funzionale di cui soffriva la M. sia stato determinato da un evento imprevisto e imprevedibile.
Deve, quindi, presumersi che l’inesatto adempimento dell’obbligazione incombente sul P. sia dipeso da colpa di quest’ultimo, con conseguente responsabilità del medesimo per il danno biologico accertato dal CTU e quantificato in una compromissione del 5% della validità biologica totale di M. O.
Ritiene questa Corte che tale danno vada risarcito in aggiunta a quello rappresentato dalla spesa necessaria all’eliminazione del procurato aggravamento del difetto respiratorio della M., sia per la necessità di sottostare ad un secondo intervento chirurgico ed alla correlata inabilità temporanea, sia perché anche all’esito di tale intervento è da presumere che l’integrità biologica della paziente non sarà totalmente ripristinata, sia per i perduranti effetti psicologici pure considerati dal CTU nella propria valutazione (cfr. pag. 15 della relazione).
In base all’orientamento da ultimo espresso dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 26972/2008, la tutela risarcitoria del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. è data nel caso della lesione di un interesse giuridicamente protetto, desunto dall’ordinamento positivo, ivi comprese le convenzioni internazionali, ed altresì nel caso di lesione di specifici valori della persona presidiati da diritti inviolabili secondo Costituzione.
Il riferimento a vari tipi di pregiudizio in vario modo denominati (danno morale, danno biologico, danno da perdita del rapporto parentale) risponde ad esigenze descrittive, ma non implica il riconoscimento di distinte categorie di danno. è compito del Giudice accertare l’effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, individuando quali ripercussioni negative sul valore uomo si siano verificate e provvedendo alla loro integrale riparazione.
Viene, in primo luogo, in considerazione, nell’ipotesi in cui l’illecito configuri reato, la sofferenza morale.
Definitivamente accantonata la figura del c.d. danno morale soggettivo, la sofferenza morale, senza ulteriori connotazioni in termini di durata, integra pregiudizio non patrimoniale.
Deve tuttavia trattarsi di sofferenza soggettiva in sé considerata, non come componente di un più complesso pregiudizio non patrimoniale.
Determina, quindi, duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno biologico e del danno morale nei suindicati termini inteso, ma il Giudice, qualora si avvalga delle note tabelle, dovrà procedere ad adeguata personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando nella loro effettiva consistenza le sofferenze fisiche e psichiche patite dal soggetto leso, onde pervenire al ristoro del danno nella sua interezza.
Possono costituire solo “voci” del danno biologico nel suo aspetto dinamico (al quale va riconosciuta portata tendenzialmente omnicomprensiva) il ed. danno alla vita di relazione, il pregiudizio da perdita o compromissione della sessualità, l’alterazione fisica di tipo estetico.
All’attualità, in base alle tabelle di liquidazione del danno c.d. biologico elaborate dal Tribunale di Milano, un’invalidità biologica del 5% di un soggetto quarantaduenne (tale era l’età di O. M. all’epoca dell’intervento) corrisponde ad una liquidazione di Euro 8.334,00.
Poiché la sussistenza di una colpa presunta (qual’è quella derivante dall’art. 1218 c.c.) non è ostativa alla liquidazione delle sofferenze morali ove il fatto sia astrattamente configurabile come reato colposo, l’indicata somma va maggiorata di un terzo a ristoro di siffatte sofferenze pervenendosi, così ad una complessiva liquidazione del danno biologico (comprensivo delle sofferenze psico-fisiche della danneggiata e di ogni aspetto anche relazionale) stimabile all’attualità in Euro 11.112,00.
Nessuna delle spese di cui alla pagina 6 dell’atto di citazione nel giudizio di primo grado va rimborsata: non le somme pagate al dottor P. e a Villa Erbosa non essendo stata mai chiesta la risoluzione del contratto con gli stessi intercorso; non le somme asseritamente pagate per visite specialistiche non essendovi prova del loro pagamento.
In materia di obbligazioni di valore e quindi anche di obbligazioni risarcitorie la sentenza n. 1712/1995 pronunciata dalle S.U. della Suprema Corte di legittimità ha ribadito il principio secondo il quale la condanna al pagamento di un’obbligazione risarcitoria deve comprendere sia la rivalutazione monetaria, calcolata al momento della pronuncia, del tantundem originariamente necessario alla riparazione del danno, sia un quid pluris costituente la riparazione del danno ed. da ritardo, cioè del danno subito dal danneggiato per non aver potuto disporre, durante tutto il tempo nel quale si è protratto l’inadempimento, del bene perduto ovvero del suo equivalente in danaro.
Per la riparazione di tale ultimo danno le S.U. hanno espresso due concetti fondamentali: il primo è quello dell’erroneità del riconoscimento dell’interesse legale per tutto il tempo dell’inadempimento e con la base del tantundem liquidato al momento della pronuncia; il secondo è quello della possibilità di un riconoscimento del danno di cui sopra anche ricorrendo a presunzioni e della sua liquidabilità sulla scorta di criteri equitativi.
Trattasi di principi ribaditi anche nelle successive pronunce nn. 4587/09, 3931/2010 e n. 6951/2010.
Nell’elaborazione del criterio equitativo de quo, si ritiene utile fare comunque riferimento al dettato dell’art. 1224 1° co. c.c. che individua presuntivamente e sulla scorta della notoria fruttuosità del danaro, il danno minimo ricollegabile all’inadempimento delle obbligazioni pecuniarie.
L’interesse legale va, però, applicato non già sul capitale rivalutato, bensì sul capitale originario rivalutato di anno in anno per tutto il periodo di durata dell’inadempimento fino al saldo. Poiché la liquidazione del danno alla salute patito dall’appellante è stata effettuata all’attualità, gli interessi legali vanno computati fino al saldo sulla somma di Euro 11.112,00 devalutata al 14-2-1991 (data di verificazione del danno) e poi annualmente rivalutata fino all’attualità.
Le spese, liquidate come in dispositivo, seguiranno il principio della soccombenza.
Conclusioni
In parziale riforma della sentenza n. 4699/03 emessa dal Tribunale di Bologna:
a) condanna P. P. a pagare a M. O., oltre alla somma di cui al punto 1 del dispositivo della sentenza appellata, l’ulteriore somma di Euro 11.112,00 oltre agli interessi legali fino al saldo sulla stessa somma devalutata al febbraio 1991 e poi annualmente rivalutata fino all’attualità, fermo restando l’obbligo della SpA Le Assicurazioni d’Italia a tenere indenne P. P. dalla predetta condanna,
b) Conferma nel resto l’appellata sentenza e condanna P. P. e la SpA Le Assicurazioni d’Italia, in via solidale, a rifondere M. O. delle spese sostenute per il presente giudizio che si liquidano in Euro 185,91 per spese, Euro 1.491,00 per diritti ed Euro 3.002,50 per onorari, oltre ad IVA, CPA e 12,5 % ex art. 15 T.P.
Bologna. 29-10-2010