Risarcimento del paziente: il caso Rizzoli e Policlinico Sant’Orsola Malpighi
Una paziente è stata ricoverata presso gli Istituti Ortopedici Rizzoli per un intervento di artroprotesi di rivestimento per osteonecrosi alla testa del femore sinistro.
Dopo l’operazione, è stata sottoposta a un intervento di laparotomia esplorativa e legatura della vena iliaca all’Ospedale Sant’Orsola, convenzionato con il Rizzoli.
Successivamente, le è stata prescritta una terapia anticoagulante a tempo indeterminato e l’utilizzo di calze elastiche antitrombosi.
Responsabilità professionale del medico
La responsabilità medica ha natura contrattuale, anche quando il medico si limita alla diagnosi o alla semplice illustrazione del trattamento al paziente, affinché questi possa fornire il consenso informato.
Secondo la Cassazione (Cass. 2857/2010), nel caso in cui il paziente lamenti un inadempimento dell’obbligo informativo, è il medico a dover dimostrare di aver adempiuto a tale dovere.
Questo principio è consolidato in altre sentenze, come la Cass. 17143/2012.
Inoltre, il diritto al consenso informato è un diritto irrinunciabile del paziente, che deve essere sempre rispettato, a meno che non ci si trovi in situazioni di emergenza o in caso di interventi sanitari obbligatori.
Anche se l’intervento chirurgico viene eseguito correttamente, la mancanza di un consenso informato lede la dignità del paziente, compromettendo la possibilità di una decisione consapevole riguardo al trattamento.
La Cassazione (Cass. 16543/2011 e Cass. 5444/2006) ha confermato che la firma su un modulo di consenso non è sufficiente: il consenso deve essere attuale e specifico per l’intervento in questione.
Nel caso trattato, il medico non ha fornito la prova dell’avvenuto consenso, portando a un riconoscimento di danno non patrimoniale, che è stato equitativamente quantificato in 5.000 euro ai sensi dell’articolo 1226 del Codice Civile.
Danno biologico e responsabilità contrattuale
La consulenza tecnica d’ufficio ha rivelato che, dopo l’intervento di artroplastica metal on metal, la paziente ha subito uno shock emorragico dovuto a una lacerazione della vena iliaca, causata dal posizionamento errato delle viti protesiche.
La paziente è stata quindi sottoposta a un secondo intervento per legare la vena, durante il quale è stato lasciato nel campo operatorio un tampone di garza, che ha richiesto un terzo intervento di revisione.
Questa negligenza ha incrementato il rischio di infezioni (come la sepsi), il pericolo legato all’anestesia, e ha prolungato l’allettamento della paziente.
Il consulente d’ufficio ha riconosciuto un danno biologico causato dai postumi di una duplice laparotomia e dalla compromissione parziale dell’efficienza motoria e del circolo venoso.
Dato che la responsabilità ricade nella sfera contrattuale ai sensi dell’art. 1228 del Codice Civile, l’ospedale non è riuscito a dimostrare che il danno non fosse imputabile alla propria condotta colposa, consolidando così la sua responsabilità medica.
Quantificazione del danno
Il consulente ha quantificato i postumi permanenti derivanti dalla colpa medica al 30%. Utilizzando le tabelle del Tribunale di Milano del 2011, si è proceduto alla liquidazione del danno non patrimoniale complessivo, che include il danno biologico e il danno morale soggettivo.
La somma liquidata, tenendo conto della personalizzazione del danno e dell’età della paziente (29 anni), ammonta a 200.787,75 euro.
La necessità di indossare costantemente la calza elastica antitrombosi e le ripercussioni psicologiche e relazionali sono stati fattori determinanti nella decisione di aumentare la liquidazione del danno del 29%.
L’importo liquidato è stato valutato alla data della sentenza, rendendo il debito esigibile senza bisogno di ulteriori rivalutazioni, come confermato dalla Cassazione (Cass. 3996/2001).
Inoltre, alla paziente è stato riconosciuto un danno patrimoniale per le spese sanitarie sostenute, documentate per un totale di 9.000 euro, rivalutato secondo gli indici ISTAT fino a 11.373,74 euro.
Tuttavia, non è stato possibile liquidare il danno relativo alla diminuzione del reddito e alla perdita di chance a causa della mancanza di prove specifiche.
Danno da ritardo nel risarcimento
Infine, sulle somme complessive liquidate, pari a 217.161,49 euro, è stato riconosciuto anche il danno da ritardo nel pagamento del risarcimento, valutato equitativamente nella misura del 2,5% annuo.
Il calcolo parte da una data intermedia tra l’evento dannoso e la sentenza (30 giugno 2010), portando l’importo finale a 235.739,21 euro.
Su questa somma, dalla data della sentenza fino al saldo, saranno dovuti anche gli interessi legali ai sensi dell’art. 1282 del Codice Civile.
Le spese legali sono state attribuite alla parte soccombente, che dovrà anche farsi carico delle spese del consulente tecnico d’ufficio (CTU).