Nullità del licenziamento per mancanza di giusta causa
Bologna. Dipendente viene riassunto e reintegrato nel posto di lavoro.
Il Tribunale di Bologna con sentenza del 26.03.2013 dichiara illegittimo il licenziamento intimato al dipendente.
Il licenziamento predetto si giustificava sulla base di vari addebiti disciplinari. In particolare il dipendente in questione lavorava presso un ufficio postale di Calderara di Reno come portalettere.
Licenziamento per un sinistro
Nello specifico, il dipendente durante lo svolgimento dell’ordinaria prestazione lavorativa, scivolava con il motorino, a causa del terreno nevoso, procurandosi uno strappo muscolare alla gamba destra con prognosi di assenza dal lavoro, prorogato più volte, come da certificati medici prodotti.
Successivamente, veniva recapitata al dipendente una lettera contenente una contestazione disciplinare, riguardante fatti avvenuti in varie giornate di aprile 2009, che anticipava il licenziamento in tronco per giusta causa del luglio 2009. In particolare, Poste Italiane rilevava come questi avesse svolto un’attività lavorativa del tutto incompatibile con il quadro clinico dichiarato nella denuncia di infortunio.
Infatti, a seguito di accertamenti svolti dalla Funzione di Tutela Aziendale, il dipendente era stato avvistato in una palestra del luogo a svolgere esercizi fisici, in qualità di istruttore di Judo di bambini, in posizione supina, sollevando gli allievi con le gambe flesse.
Il licenziamento è illegittimo
Durante il processo, il ricorrente (ossia il dipendente) fonda la richiesta di illegittimità del licenziamento su diversi motivi, primo, fra tutti, l’insussistenza, nel merito, degli addebiti disciplinari, rilevando, innanzitutto, che gli esercizi da lui posti in essere in qualità di istruttore di judo per bambini, sono del tutto inidonei a ritardare e a compromettere il processo di ripresa dell’attività lavorativa ordinaria, in quanto non gravanti sull’arto infortunato.
A tale proposito, egli evidenzia, infatti, come l’inabilità al lavoro, così come risultante dai certificati medici prodotti, non deve essere intesa quale semplice stato di infermità assoluta del lavoratore, ma di perdita, seppur temporanea, dell’attitudine al lavoro, nel senso di incapacità dell’infortunato di eseguire la propria attività lavorativa con l’efficienza richiesta dal datore di lavoro.
Su tali basi si afferma che ben può svolgere, nel caso di specie, l’attività di istruttore, avendo riguardo alla propria condizione di salute fisica, senza violare i principi di correttezza e buona fede del rapporto di lavoro con la convenuta, trattandosi di attività che il ricorrente, già da vent’anni, pratica con i bambini nell’ambito di un contesto amatoriale e volontario, svincolato da qualsiasi obbligo di orario e da subalternità gerarchica.
Poste Italiane spa contesta al lavoratore di avere ignorato le dovute cautele volte a salvaguardare il suo stato di salute durante il periodo di convalescenza, ritardandone la guarigione attraverso lo svolgimento di un’attività lavorativo – sportiva incompatibile con la malattia dichiarata.
La difesa evidenzia, infatti, quanto risulti inverosimile la versione dei fatti, fornita dal ricorrente, laddove afferma che l’attività di istruttore abbia carattere meramente passivo: appare improbabile al datore di lavoro, dalla ricostruzione dei fatti, così come delineati dalle relazioni degli Ispettori Z. e N. (2/4/2009) e degli Ispettori S. e B. (9/4/2009), che G. svolgesse esercizi in maniera statica, senza partecipare attivamente nell’esecuzione degli stessi insieme agli allievi; secondo Poste Italiane, emerge chiaramente un ruolo propositivo di parte ricorrente che svela indubbiamente una partecipazione attiva dello stesso all’attività d’istruttore di judo, come tale incompatibile con i principi di correttezza e buona fede posti alla base del rapporto di lavoro.
Durante la malattia si può svolgere anche altra attività lavorativa
In linea di principio, si è affermato che non sussiste nel nostro ordinamento un divieto assoluto per il dipendente di prestare attività lavorativa, anche a favore di terzi, durante il periodo di assenza per malattia.
Tale comportamento può, tuttavia, costituire giustificato motivo di recesso da parte del datore di lavoro ove esso integri una violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà.
Ciò può avvenire quando lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente assente per malattia sia di per sè sufficiente a far presumere l’inesistenza dell’infermità addotta a giustificazione dell’assenza, dimostrando quindi una sua fraudolenta simulazione, o quando l’attività stessa, valutata in relazione alla natura ed alle caratteristiche della infermità denunciata ed alle mansioni svolte nell’ambito del rapporto di lavoro, sia tale da pregiudicare o ritardare, anche potenzialmente, la guarigione e il rientro in servizio del lavoratore, con violazione di un’obbligazione preparatoria e strumentale rispetto alla corretta esecuzione del contratto (cfr. ex plurimis Cass. n. 9474/2009, Cass. n. 14046 /2005).
La Suprema Corte ha precisato che:
“la valutazione del giudice di merito, in ordine all’incidenza del lavoro sulla guarigione, ha per oggetto il comportamento del dipendente nel momento in cui egli, pur essendo malato e (per tale causa) assente dal lavoro cui è contrattualmente obbligato, svolge per conto di terzi un’attività che può recare pregiudizio al futuro tempestivo svolgimento di tale lavoro; in tal modo, la predetta valutazione è costituita da un giudizio ex ante, ed ha per oggetto la potenzialità del pregiudizio”, con l’ulteriore conseguenza che “ai fini di questa potenzialità, la tempestiva ripresa del lavoro resta irrilevante (Cass. n. 14046/2005 cit.).
Ha ribadito, inoltre, che lo svolgimento da parte del dipendente assente per malattia, di altra attività lavorativa che, valutata in relazione alla natura della infermità e delle mansioni svolte, può pregiudicare o ritardare la guarigione ed il rientro in servizio, costituisce violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede, che giustifica il recesso del datore di lavoro (Cass. n. 17128/2002).
Con riferimento al caso in esame, in merito alla fondatezza degli addebiti disciplinari mossi all’attore, in base al costante principio di diritto espresso dalla Suprema Corte sopra esposto, che il giudicante condivide, né ha ragione di disattendere, occorre stabilire se, in concreto, l’attività sportiva svolta dal ricorrente, quale istruttore di judo secondo le modalità emerse dall’istruttoria orale, sia compatibile con la patologia da cui il ricorrente risulta affetto in conseguenza dell’infortunio occorsogli in data 7/1/2009; occorre, inoltre, accertare se sussista o meno pericolo di ritardo o di compromissione della guarigione con lo svolgimento della suddetta attività extralavorativa e se l’attività stessa rechi eventuale giovamento alla salute del malato.
Gli esiti dell’istruttoria orale svolta nel presente processo ed in quello penale, che si è concluso con il proscioglimento del ricorrente con la formula “perché il fatto non sussiste”, hanno confermato che questi svolgeva l’attività di istruttore, presso la palestra Panax, ove è stato colto dagli ispettori della resistente, impartendo comandi orali agli allievi, illustrando loro il sollevamento e la caduta a terra in condizione statica, senza partecipare attivamente al combattimento, in posizione sdraiata, a terra, con le gambe flesse, come ha riferito il dipendente di Poste Italiane, S., incaricato dell’ispezione presso la palestra, e da Pondrelli, frequentatrice della palestra.
Si ritiene che l’attività d’istruttore descritta dai testimoni fosse compatibile con il quadro clinico della patologia da cui era affetto il ricorrente (contusione/distrazione della muscolatura della gamba destra) e non comportasse pericolo di ritardo o compromissione della guarigione, in quanto non poneva sotto sforzo la muscolatura della coscia destra interessata dall’infortunio: il lavoratore, infatti, si limitava ad illustrare agli allievi, con movimenti minimi e in posizione statica, le mosse di judo che venivano realizzate dagli stessi sotto il suo controllo visivo e non attivo.
Il ricorso viene pertanto accolto.