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Cacciare di casa l’altro coniuge: quali sono le conseguenze?
Dopo l’ennesima lite, il coniuge può cacciare di casa l’altro? La casa è mia e te ne devi andare. Il “coniuge cacciato” deve davvero andare via?
L’art. 143 del nostro codice civile individua quelli che sono i doveri coniugali nel matrimonio. Tra questi, il suddetto articolo individua espressamente l’obbligo alla coabitazione, che mal si concilia con il cacciare di casa qualcuno.
Pertanto i coniugi sono obbligati a mantenere il tetto coniugale. La coabitazione è un valore fondante l’unità familiare.
Ne consegue che se da un lato il coniuge non può abbandonare (immotivatamente) il tetto coniugale; dall’altra, lo stesso non può essere cacciato di casa.
Stabilito che in linea di massima il coniuge non può cacciare di casa l’altro coniuge (anche solo convivente) e importante sottolineare che esistono alcune eccezioni in cui tale comportamento è possibile.
In questo articolo esamineremo prima le conseguenze civili e penali di tale comportamento e poi le eccezioni alla regola generale.
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Le conseguenze penali dell’estromissione dal tetto coniugale
Estromettere il coniuge dalla casa coniugale presenta sia dei profili civilistici che penali.
In relazione al profilo penale, la condotta di chi caccia il coniuge dalla casa coniugale è certamente comprensibile nella più ampia fattispecie della violenza privata prevista dall’art. 610 del codice penale.
Il predetto articolo stabilisce che chiunque “con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni”.
Pertanto, secondo l’articolo suddetto, la moglie che caccia di casa il proprio marito (o viceversa) rischia il carcere fino a quattro anni.
Si evidenzia che tale disposizione trova applicazione anche nel caso in cui il coniuge sia sia allontanato volontariamente ma poi gli fosse stata negata la possibilità di rientrare nella casa coniugale.
La Cassazione con la sentenza n. 40383 del 2012 affronta tale casistica e riconosce al coniuge il diritto a rientrare nella casa coniugale anche dopo che lo stesso era andato ad abitare con i genitori.
L’azione civile per ottenere il reintegro nella casa coniugale
Il coniuge cacciato potrà inoltre agire per ottenere la reintegrazione nel possesso e rientrare a casa.
La giurisprudenza è unanime nell’affermare che nel caso di specie è possibile esperire l’azione prevista dall’art. 1168 del codice civile.
Entro un anno dalla privazione, il coniuge potrà pertanto agire in giudizio per ottenere la reintegrazione e la disponibilità dell’immobile.
Diritto al reintegro anche nel caso di coppia di fatto
La Cassazione con sentenza n. 7214 del 2013, sottolinea che il diritto ad essere reintegrato nella casa coniugale (o meglio della convivenza in questo caso) spetta anche nel caso di coppie di fatto.
Difatti, si legge:
[…] la convivenza more uxorio determina, sulla casa di abitazione ove si svolge e si attua il programma di vita in comune, un potere di fatto basato su un interesse proprio ben diverso da quello derivante da ragioni di mera ospitalità; conseguentemente, l’estromissione violenta o clandestina del convivente dall’unità abitativa, compiuta dal partner, giustifica il ricorso alla tutela possessoria, consentendogli di esperire l’azione di spoglio nei confronti dell’altro quand’anche il primo non vanti un diritto di proprietà sull’immobile che, durante la convivenza, sia stato nella disponibilità di entrambi […]
Sebbene non disciplinata espressamente, la convivenza more uxorio crea un rapporto tra la coppia di fatto che merita attenzione da parte del legislatore anche sulla base dei basilari principi costituzionali e di solidarietà.
Come posso cacciare di casa il coniuge?
Esistono due casi principali in cui viene meno l’obbligo di coabitazione:
- esistono dei gravi motivi. Caso tipico sono i maltrattamenti e la violenza nei confronti dello stesso coniuge o dei figli;
- il venire meno dell’obbligo di coabitazione è disposto dal giudice.
Di regola il giudice interviene nell’ambito di un procedimento di separazione o divorzio disponendo la fine dell’obbligo alla coabitazione.
L’intervento del giudice potrebbe esserci anche in ambito penale, il quale nelle more di un processo per violenza o similari disponga l’allentamento del coniuge dalla casa coniugale.
Questo non significa che nel caso di gravi motivi (quali ad esempio i suddetti maltrattamenti e violenze) sia necessario attendere l’ordine di alcun giudice.
Considerata l’urgenza e la pericolosità della situazione si potrà agire immediatamente allontanando l’altro coniuge. D’altra parte sarà opportuno recarsi presso le autorità per denunciare il fatto e contestualizzare l’accaduto.
Cacciare di casa il marito dopo la separazione
Non di rado accade che il marito sebbene ormai conclusa la separazione continui a rimanere nella casa coniugale.
Nel caso in cui la moglie (o l’altro coniuge assegnatario della casa) non voglia tollerare tale comportamento potrà ottenere il rilascio dell’immobile tramite specifica azione giudiziaria.
Nello specifico sarà necessario:
- contestare per iscritto il mancato allontanamento all’altro coniuge;
- notificare atto di precetto per rilascio dell’immobile sulla base della stessa sentenza di separazione, la quale è titolo sufficiente ed idoneo per procedere;
- avviare procedimento di esecuzione per rilascio dell’immobile tramite il competente ufficiale giudiziario.
Quanto sopra sarà possibile solo laddove tra le condizioni della separazione è stata prevista anche una disposizione in merito all’assegnazione della casa coniugale (nel caso di prole c’è sempre l’assegnazione. Potrebbe non esserci nel caso in cui manchino i figli).
Se nulla è disposto in merito all’assegnazione, allora il coniuge non potrà pretendere la liberazione del’immobile, in quanto la sentenza di separazione nulla prevede.
Si potrà attivare un diverso ed ulteriore giudizio di divisione al fine di dividere la casa in base alla proprietà della stessa e le regole della comunione matrimoniale.
Posso cambiare la serratura per cacciare di casa mio marito?
Una domanda che spesso viene fatta e se la moglie può attivare per cambiare la serratura sfruttando il fatto che il marito è al lavoro o fuori di casa.
Come detto sopra, “cacciare di casa” il proprio coniuge senza giusta motivazione è perseguibile anche penalmente rientrando in un caso di violenza privata.
Il cambio di serratura comunque costringe l’altro coniuge a tollerare (si veda testo dell’art. 610 c.p.) il comportamento dell’altro e di fatto estromette il coniuge dal tetto coniugale.
Per tale motivo, come stabilito anche in più occasioni dalla giurisprudenza, anche il cambio di serratura comporta delle conseguenza sul piano civile e penale, risultando equiparabili al “cacciare di casa” l’altro coniuge.